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L’intervista – di Patrizia Franzina

Ho appuntamento con Simone alle partenze del terminal 1 dell’aeroporto di Malpensa. Appena arrivo lo vedo in coda per il check-in, mi saluta sorridente e mi fa segno di pazientare qualche minuto, è ormai il suo turno e ci vorrà poco.
Lo osservo mentre esibisce biglietto e passaporto, sorride, ha l’aria di uno di quei surfisti australiani che parte per una vacanza anche se non sembra il tipo da camicia a fiori.

E’ bello e sicuro di se come un ventenne che sa quello che vuole e che sta andando a prenderselo.
Imbarca due grandi valigie, ritira i suoi documenti e viene verso di me.
“Eccomi, ora abbiamo tutto il tempo per chiacchierare. Il mio volo non partirà prima di due ore.”
Lo seguo al bar, prendiamo i nostri caffè in due bicchierini di plastica e cerchiamo un posto tranquillo dove accomodarci.
La mia intervista a questo giovane uomo inizia da qui.

La prima cosa che mi colpisce è questo sorriso che non accenna a smorzarsi neppure per un attimo.
“Un po’ nervosismo e un po’ felicità” mi risponde quando gli chiedo di spiegarmene il motivo.
“Nervosismo per quella grande valigia che ho imbarcato e che contiene tutta la mia attrezzatura, se potessi viaggerei in stiva per tenerla sott’occhio. E’ il mio mondo, e sono sempre in ansia quando me ne devo separare. Felicità, beh quella la puoi ben immaginare, sto partendo per una fantastica avventura lavorativa e questo mi carica un sacco.”

La sua attrezzatura, ne parla come di una creatura senziente, qualcosa dotato di Cuore, Anima e Sentimenti e credo sia davvero così che lui la percepisce.
“Beh certo, ogni più piccola cosa contenuta in quella valigia è collegabile ad un momento particolare della mia vita; la muta l’ho acquistata con il mio primo stipendio, e neppure è bastato, ho dovuto chiedere di poterla pagare in due volte per potermela permettere, per questo non è UNA muta, è LA MIA muta! La torcia subacquea me l’hanno regalata i miei amici e ogni volta che scendo e l’accendo è come se portassi sott’acqua tutti loro con me – sorride e mi pare pure che un po’ si commuova – il computer me lo hanno regalato i miei genitori per la maturità, c’è una dedica incisa sul retro dello schermo “”Sogna. Esplora. Scopri. Ama. Vivi.” E poi fermami altrimenti vado avanti e non bastano due ore a finire l’intervista!”
E’ un po’ imbarazzato da questa vulnerabilità che si percepisce mentre mi racconta pezzetti di Vita così intimi.

La verità è che io lo lascerei parlare a ruota libera, permettendo alle parole di seguire il corso dei suoi pensieri, che sembrano tanti e tutti desiderosi di uscire allo scoperto.
“Ma come mai hai scelto di intervistare me? Non sono mica famoso!”
E’ vero, non lo è, però mi hanno chiesto una storia di successo e a me è venuto in mente lui. Che forse non diventerà mai ricco e neppure famoso, ma sta lavorando perché il suo sogno diventi realtà, e questa partenza mi sa già di successo.
“E’ vero – mi conferma – lo è! Avevo 14 anni quando decisi che avrei studiato lingue per viaggiare, per accompagnare i turisti sott’acqua. Sono passati 7 anni e sto partendo per fare esattamente questo!”
Raccontami di questa passione per la subacquea. Non vivi in un posto di mare e i tuoi non sono sub …
“Non so spiegartelo, non credo ci sia una spiegazione logica. Semplicemente ci sono posti a cui senti di appartenere e quando io mi immergo è questo che provo; mi sento a casa.

So che molti hanno paura di questo sport, lo giudicano pericoloso, e molte volte i miei genitori sono stati accusati di leggerezza nel permettermi di praticarlo, ma penso abbiano saputo da sempre che quello è il mio posto. Sono stati bravi, non hanno dato retta alle malelingue e neppure alle paure, che sono certo, hanno avuto. Mi hanno permesso di progredire in sicurezza, brevetto dopo brevetto, immersione dopo immersione, affiancato da professionisti. Perché questo, come molti altri sport, non si può improvvisare.”

Anche se hai detto che è difficile, prova a spiegarmi cosa provi quando scendi, cosa speri di vedere, se ci sono volte in cui rimani deluso…
“Un famoso apneista, Umberto Pellizzari, scrisse che non si scende per vedere, ma per guardarsi dentro. Io non sono ne famoso ne apneista, ma condivido questo suo pensiero. A 30/40 metri di profondità c’è un silenzio assoluto, se sei al lago poi, da dove provengo io, è pure buio pesto! Senti solo il rumore del tuo respiro attraverso gli erogatori e quello del tuo cuore. Devi affinare altre tecniche per orientarti, avere una gran fiducia nella tua preparazione e in quella dei tuoi compagni. Poi puoi anche avere la fortuna di piacevoli incontri; un branco di pesci colorati, o una natura particolarmente rigogliosa, ma son dettagli fortuiti che coronano qualcosa di già bellissimo. E’ quello che senti che fa la differenza, ed io lì sotto mi sento parte di qualcosa di grande, anzi di più … di grandioso!”
Gli credo! Più che alle sue parole, credo ai suoi occhi mentre me lo racconta. Occhi persi, innamorati perdutamente di qualcosa che non è qualcosa, è emozione, è meraviglia del Creato, è passione.

Gli squilla il telefonino, dal tono di voce e dalle risposte intuisco sia qualcuno di famiglia, forse papà.
“Era papà – mi conferma – fa il duro, ma so che gli mancherò. Una volta il mio istruttore disse dei miei genitori: non ce ne sono molti come loro, abbine cura. Sorrisi e sbuffai dicendo che in realtà erano dei rompiscatole come tutti i genitori, ma sapevo allora, come so oggi, che ha ragione. I figli dei loro amici si laureano. Parlano di tesi, esami, Erasmus, stage, specializzazioni, loro stanno in silenzio e ascoltano. Però vorrei fossero orgogliosi per il solo fatto di avere un figlio felice e di aver contribuito alla costruzione di questa felicità. Vale come una laurea?”
Hanno annunciato il volo, devo salutare Simone. E non so se vale come una laurea, di sicuro vale come intervista ad un giovane uomo di successo.
Lo abbraccio, me lo stringo forte questo ragazzone alto e con il fisico da bodybuilder, chissà quando lo rivedrò. Ho gli occhi lucidi e un nodo in gola.
“Dai, mà … non metterti a piangere adesso però”
E invece piango, i genitori piangono sempre quando si laurea un figlio.
da “Intervista a mio figlio”
Patrizia Franzina

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