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La porta – racconto di Silvia Ruggeri

Continuo a fissare quella porta. E’ familiare, è la mia casa.

Quel marciapiede lo conosco bene. Quanti momenti insieme sono iniziati e finiti davanti a quella porta. Aspetto il suo gesto fermo e lo sguardo dolce dei suoi occhi per potermi avvicinare. Avrei tanto voluto vederlo. Il desiderio del suo perdono rende teso il mio respiro, vorrei che mi desse un’altra possibilità e che mi facesse entrare ancora da quella porta. Ho pensato che potevo aspettare, che non avevo fretta. Lo avrei aspettato oltre ogni tempo, in attesa solo di quello sguardo.

E’ una giornata mite, il vento leggero scompiglia i capelli dei passanti e le gonne delle signore svolazzano come le lenzuola nel cielo. Mi siedo davanti ad un bar che conosco bene ed il barista è sorpreso di vedermi, rispondendo alla mia presenza con il solito sorriso gentile e con un po’ di acqua fresca. In certi momenti mi sento osservata da occhi perplessi, occhi che si chiedono come mai aspetto immobile già da qualche ora, con lo sguardo fisso verso la mia casa. Non me ne preoccupo, sono decisa a star lì tutto il tempo necessario in attesa del suo rientro, immagino di vederlo arrivare e di sentire il suo profumo. Ogni volta che vedo passare una macchina mi allerto, anche se non è la sua. L’ultima volta lo vidi nella sua auto qualche giorno fa. Quanta voglia di rivederlo! Chissà che reazione nel trovarmi lì davanti alla sua porta, nonostante ricordo bene la rabbia nel giorno in cui si è allontanato da me. Inizio a passeggiare freneticamente lungo il marciapiede e vedo avvicinarsi la bambina della porta accanto. Qualche volta è capitato che giocassimo al parco vicino casa e da allora si ricorda bene e vuole sempre salutarmi. I suoi boccoli biondi attirano sempre la mia attenzione per quel delicato di profumo di frutta e le sue mani sono spesso in movimento, come in una danza veloce e frenetica. Penso di incamminarmi con lei verso il parco ma torno indietro quasi subito. Il mio pensiero è sempre a lui, all’irresistibile desiderio di vederlo arrivare, di attenderlo davanti casa e di oltrepassare insieme a lui quella porta. Il sole tramonta, la stanchezza comincia a prendere il sopravvento, il bisogno di riposare cresce sempre più e sento di non poterne fare a meno. Non ricordo l’ultima volta che ho chiuso gli occhi davvero, senza aprirli per ogni stimolo o rumore, in un luogo fidato, silenzioso e calmo. Il veloce cammino non ha fatto spazio al riposo ma ha reso ogni mio passo pesante come l’acqua che si infrange nella roccia, alla ricerca convulsa di qualcosa che mi riportasse a casa. Decido che il mio corpo inerme e dormiente sarebbe diventato la protezione tra il resto del mondo e il desiderio di ritrovarlo. Aspetto qui, su questo gradino davanti alla porta di legno dall’odore acre, immaginando il profumo delicato della sua pelle. Trovo in quel momento il coraggio di chiudere gli occhi, ritrovando la pace.

Qualche tempo prima, in una serata calda e umida, riposavo sul comodo divano. Sentivo il bisogno di rinfrescarmi, le mosche si appoggiavano su di me in modo insistente e irrefrenabile. Non vedevo l’ora di uscire per respirare un’altra aria, leggera e fresca. A volte mi chiedevo come facesse a leggermi nel pensiero e a rispondere ai miei bisogni con quella puntualità. Vivere con lui era semplice e fino a quel giorno lo era stato davvero. Non sapevo dove voleva portarmi ma non mi importava. Ogni luogo in sua compagnia diventava speciale, magico. Anche solo arrivare fino al bar all’angolo mi rendeva felice, bastava stare insieme e respirare aria nuova per sentirmi bene. Salimmo sulla sua macchina, i finestrini tirati giù, il vento delicato ci accarezzava, gli odori delle strade si distinguevano chiaramente, il suo profumo rimaneva inebriante e preponderante rispetto a tutti gli altri. Non amavo particolarmente viaggiare ma era diventata un’abitudine piacevole. Avevo caldo e sete ma sentivo l’entusiasmo di quando ero piccola e scoprivo il mondo. Lo sguardo attento si divideva tra lui e le tante attrazioni intorno a me. La velocità, il rumore e i colori mi confondevano. Sentivo il battito del cuore che accelerava insieme a tutto il resto, ero emozionata e mi sentivo viva. Guardarlo era per me fonte di sicurezza e fiducia, niente di terribile e pericoloso poteva succedermi se rimanevamo vicini. La curiosità di vedere dove voleva portarmi rendeva l’attesa piena di aspettative. Il tempo passava, la velocità aumentava insieme alle frenate improvvise e brusche.

Da un momento all’altro aveva iniziato a parlare in modo agitato e turbato, i suoi movimenti erano nervosi e il tono delle voce particolarmente alto e irritato. Tante le parole dette, sembrava arrabbiato con qualcuno, forse proprio con me. Avevo pensato fosse colpa mia perché anche quel giorno mi aveva rimproverato. Speravo lo avesse già dimenticato. Si era fermato per scendere dalla macchina e risalire poco dopo. Non sapevo dove fosse andato. Sentivo caldo. L’aria era ancora addosso, lui ancora teso e immobile. Iniziavo a sentirmi irrequieta come lui, i battiti acceleravano e mi mancava il respiro. Anche l’aria, che prima mi accarezzava piacevolmente, era diventata troppo forte infastidendomi come non mai. Non vedevo l’ora di scendere da quella macchina e avevo iniziato a muovermi con agitazione. Lui arrabbiato urlava violentemente. Avevo bisogno di scendere e non riuscivo a trattenere un pianto disperato. Perché non voleva fermarsi? Perché non capiva che mi stavo sentendo male? Continuavo a fissarlo con la speranza che si rendesse conto del mio malessere ma non mi guardava neanche più. Volevo scendere, volevo tornare sul mio comodo divano insieme alle mosche giocose intorno. Desideravo bere perché la gola era secca come l’aria che mi scompigliava tutta. Non capivo perché non mi guardava e continuava solo ad urlare. Passavano i minuti. Finalmente solo il silenzio. Anche io non piangevo più ma continuavo a cercare un suo sguardo. Si era calmato e io con lui. Non so cosa fosse successo ma era tornato ad essere teso e immobile. Mi ero fermata pensando sempre all’intenso bisogno di scendere, anche solo per poco.

Non avevo fatto in tempo a pensarlo che la velocità della macchina diminuiva fino ad arrestarsi completamente. Era l’ora che capisse! Non avevo dubbi che mi avrebbe accontentata perché da parte sua non passava mai inosservata una mia dimostrazione di disagio. Mi guardavo intorno ma non capivo in quale luogo fossimo e non mi pareva di averlo mai visitato prima. Sembrava un parco con gli alberi alti e fitti, il cielo grigio e cupo e l’aria fresca ma pesante. Per qualche istante era rimasto immobile, con gli occhi fissi sul volante e le mani aggrappate come se stesse ancora in corsa. Neanche uno sguardo, né tanto meno una parola. Decise di scendere. Rigido e teso come mai prima, venne verso di me aprendo la portiera della macchina. Un enorme prato verde davanti a noi, tanti profumi e odori. Che bella sorpresa mi aveva fatto! Un viaggio in macchina ben ripagato, avevo pensato. Non potevo desiderare di più che una giornata insieme immersi nel verde. Lui continuava a guardarsi intorno, forse per scegliere da che parte andare e quale direzione prendere. Io lo guardavo in attesa di una sua indicazione. Provavo a proporre di addentrarci in un sentiero poco più in là ma non avevo la sua approvazione. Ci incamminammo nella direzione opposta, più arida e desolata. Pochi metri dalla macchina e ci fermammo ancora. Iniziava a guardarsi intorno di nuovo con attenzione e irrequietezza; lo sguardo rivolto a me era sfuggente e io iniziavo ad inquietarmi.

Ricordo: pochi secondi, gira le spalle e va via. I suoi passi erano veloci mentre io non potevo muovermi. Ero legata a qualcosa ma non capivo e in quel momento non aveva alcuna importanza. Iniziai a piangere e ad urlare. Come mai ero lì e lui se ne andava così velocemente? Come mai mi disperavo così tanto e lui non si voltava per aiutarmi? Più mi muovevo e più sentivo di essere ancorata al terreno fangoso. Non riuscivo a vederlo… Se ne era andato ed io ero rimasta lì, disperata e sporca. Non ricordo dopo quanto tempo riuscì a calmarmi. Doveva esserci un motivo per tutto ciò, forse sarebbe bastato stare ferma per aspettare il suo ritorno! Così feci… ma lui non tornò.

Continuo a fissare quella porta. E’ familiare, è la mia casa. Vorrei tanto che lui mi vedesse e mi venisse incontro come sempre. Ogni sua carezza è per me una gioia. A volte mi coccola se rispondo nel modo adeguato ad una sua richiesta, altre volte le sue mani mi toccano senza che ne comprenda il motivo. Mi mancano i nostri momenti di pura felicità, quelli per i quali il corpo inizia a ballare senza sosta ed a muoversi tutto. Il desiderio del suo perdono rende teso il mio respiro, vorrei che mi desse un’altra possibilità, che mi facesse entrare ancora da quella porta. Ho pensato che potevo aspettare, che non avevo fretta. Lo avrei aspettato oltre ogni tempo, in attesa solo di quello sguardo. Immagino già quando arriverà e danzeremo insieme. Lo avrei aspettato davanti a quella porta per l’eternità, per entrare dentro casa e riposare sopra il divano con intorno le mosche giocose. Lo avrei aspettato davanti a quella porta per la gioia di saltargli addosso, leccargli il volto e sporcargli il petto con le mie lunghe zampe piene di fango.

 

Silvia Ruggeri

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