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La casa sul lago- Racconto di Michela La Grottiera

 

L’estate per me è sempre stata la casa dei nonni sul lago.

Quando ogni anno si ripresentava la fine di giugno sapevo, fin da piccola, cosa mi aspettava: in un paio di giorni la casa si riempiva di valigie aperte e strabordanti vestiti, e vedevo mia madre agitarsi per tutte le stanze in preda a una frenesia che si sarebbe placata solo a bagagli completati. Il rituale era sempre lo stesso: la grande borsa verde si riempiva dei suoi vestiti, in quella blu ficcava in tutta fretta qualche bermuda per mio padre e poi due grossi zaini erano adibiti al trasporto dei miei indumenti. Ne metteva sempre troppi –che se non li usi ora poi quando li metti?- e io glielo lasciavo fare pur sapendo che avrei girato sempre negli stessi shorts di tuta sgualciti dal sole.

Ogni anno sembrava sempre più un trasloco, e provavamo una certa malinconia nel lasciare la nostra casa di città: ma appena mettevamo la macchina in moto e il cd cantava le stesse canzoni che conoscevamo da sempre, il processo diventava tutto un po’ più familiare e sentivamo il profumo dell’estate.

I nonni abitavano al lago tutto l’anno: nessuno capiva come facessero due anziani a sopravvivere al freddo e all’umido che l’inverno abbatteva su quella casetta di pietra, lontani dal villaggio quanto bastava a richiedere l’uso della macchina per ogni spostamento, e con la sola compagnia dei loro animali. Io credo che ciò che li teneva legati a quel posto fosse l’amore che provavano l’uno per l’altra, e per le sponde del lago.

D’estate però la faccenda cambiava del tutto: erano proprietari della piccola baita accanto alla loro casa, che avevano trasformato in hotel e che da giugno a settembre si popolava di turisti. Erano turisti non comuni, in cerca di mete sconosciute e un po’ appartate dalla civiltà: i miei preferiti.

Ci occupavamo tutti dell’hotel in quei mesi: io, quando ero ancora bambina, per lo più gironzolavo nella hall o nella cucina rubando barattoli di marmellata ai lamponi che faceva mia nonna, poi correvo fuori, nel bosco e scendevo insieme a Bambù, il nostro cane, fino a una spiaggetta di ciottoli bagnata dalle acque fredde del lago. E lì divoravo la marmellata pescandola con le dita, mentre insegnavo a Bambù a inseguire i pesci.

L’aria era fresca e buona da respirare, era aria soffiata attraverso le cime del ghiacciaio che sovrastava il lago, ma all’epoca non badavo all’aria o alla bellezza dei pini e al profumo della loro resina: mi interessavano di più i cerbiatti che a volte vedevo spuntare tra le frasche e i tassi che inseguivo con un bastoncino. Non c’erano molti bambini con cui giocare, ma non ricordo di aver mai sofferto la solitudine.

Mio nonno era alto e forte, ed emanava un profumo di dopobarba e libri. Mia nonna sapeva sempre di biscotti, o di salsa, o di qualsiasi cosa stesse cucinando, ed era morbida e rotonda. L’odore che emanavano è il ricordo più nitido che ho di loro, che sopravvive alla corrosione della memoria sui loro visi.

Ora sono seduta sulla stessa spiaggetta dove scappavo da bambina. I miei figli giocano qualche metro più in là, rapiti dalla bellezza del posto ma ignari dei piacevoli e dolci ricordi che custodisce.

L’hotel, i nonni l’hanno venduto quando ormai non potevano più occuparsene. Ma la casa sul lago è ancora là, ad aspettarmi ogni estate.

 

Michela La Grottiera

 

 

 

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