‘Sale la nebbia sui prati bianchi.’ Fabrizio De Andrè, Inverno
Si aggiunge bianco al bianco, insicurezza a insicurezza. I contorni sfumano, le linee vibrano, si frantumano e scompaiono. Rimane un confuso intreccio di piccole goccioline, stanche del loro fluttuare inesorabile, senza riposo. Più in là un viandante, una figura grigia. Grigio di pensieri, di cuore, di sguardo. Stanchi, i suoi occhi si chiudono e attorno ad essi si profila un’ombra nella quale pare accoccolarsi questa nebbia densa.
Sembra che i suoi occhi portino il peso di miliardi di gocce di tristezza. E’ un uomo solo, viaggia per colmare chissà quale baratro interiore, chissà quale bianco. Respira. Inala aria gelida, del vuoto, sperando di sentirsi pieno in qualche modo, ma –si sa- il vuoto non colma un vuoto più grande. Come si può colmare un’assenza? Come si può riempire il bianco?
Apre gli occhi. Non un bagliore guizza nell’iride. Non un desiderio di mangiare il mondo con gli occhi, di conoscere, di sapere. Fermo, ascoltando il labile suono del solo suo respiro, il viandante schiude le labbra: ‘Aiuto’.
Come glielo dici a un uomo così che è perso, che non ci sono appigli forti attorno, che il bianco sgretola e fagocita tutto, che lui stesso è fagocitato dal bianco nello stesso istante in cui aborrisce il bianco invece di combatterlo? Come glielo dici a un uomo così che sta naufragando nel mare della solitudine? Come lo consoli?
Le ginocchia crollano a terra, le mani battono il selciato umido e scivoloso. Si sporcano. Perché una volta che si cerca di mettere mano al turbine di pensieri torbidi che rimbalzano da una parte all’altra alla velocità della luce nella mente, è cosa rara tirarle fuori belle e disinfettate. Ma lui non se ne cura e ripete il gesto prendendo a pugni il selciato sottostante. Come a voler trovare un colpevole, perché un colpevole è sempre necessario. Vuole imbrattarsi di quel marcio che lo avvelena, vuole vederne le fattezze, vuole prenderlo a schiaffi. La bocca si contrae in una smorfia e le dita della mano si chiudono così forte che le unghie incidono la pelle.
Uno scoraggiato ‘Perché?’ rompe il bianco attorno. Basta forse una notte di troppo passata da soli perché sia troppo tardi?
Un lontano orologio suona nove tocchi. Uno spruzzo rosso macchia il bianco. E scende subito la sera.
Alessandra Tonelli