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Andromeda in salvo – Racconto di Giuseppina Sciortino

Muovo da Alessandria verso Bivona, attraverso mandorleti, vigne e poi distese di ulivi. I piccoli agglomerati urbani posati sulla macchia sembrano blocchi di cemento caduti giù dall’alto. Man mano che percorro le strette curve che s’incuneano tra la vegetazione boschiva, sempre di più mi avvicino a Santo Stefano Quisquina.

Il paesaggio è quello consueto, lo stesso che mi visita nei ricordi, sogni ricorrenti, tutto uguale a sempre. Pure l’ospedale dove nacqui è ancora lì. Per non parlare delle facce, le mie compagne di viaggio, familiari, rassicuranti. Penetriamo finalmente nel regno dello scultore, pastore dovrei dire, o entrambe le cose. Ci facciamo strada tra il romito sentiero di montagna, io e le altre donne.

Lo sguardo vaga sui pascoli, il belvedere, il boschetto, si vede pure il mare in lontananza, oppure è solo la linea dell’orizzonte. Ora ci accoglie la gigantesca maschera aurea che vomita rocce, e poi la scultura che inghiotte il raggio solare perfetto e accarezza la sua vittima morente, Icaro dalle ali spiegate a terra.

Il vento ci scompiglia i capelli, annusiamo l’aria ancora gonfia di pioggia. Le strisce scarlatte si allungano all’orizzonte tra le nuvole soffici, a momenti il sole morirà dietro i monti. Ci immettiamo nella porticina che emerge dai sassi ed ecco le stelle poggiate sulla spianata in cima allo strapiombo, la cancellata verso l’infinito. Chiudo gli occhi e mi pare di sentire il pianto della bella Andromeda incatenata alla roccia.

Poi vedo i mostri marini, Poseidone e le ninfee seducenti, Perseo con ancora addosso lo sguardo della Gorgone. Infine mi appare la bella fanciulla che, finalmente salva, si ricongiunge al suo salvatore, sposo eterno.

 

Silvana Ferrero

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