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“Viva i coriandoli di carnevale” di Gianni Rodari, poesia contro la guerra

Il Carnevale può essere un inno contro ogni guerra grazie a "Viva i coriandoli di carnevale" la poesia di Gianni Rodari, dove la battaglia si fa ridendo.

Viva i coriandoli di Carnevale di Gianni Rodari è una poesia che nella sua semplicità può benissimo essere considerata un inno contro la guerra.

Una filastrocca di Carnevale sempre attuale che in modo giocoso e ironico tende a sublimare gli effetti distruttivi dei conflitti bellici, attraverso la contrapposizione metaforica con  la festa più divertente dell’anno.

Si dovrebbe tutti tornare bambini e far diventare la lotta, tipica dei cuccioli di tutte le specie animali, semplicemente un gioco che unisce e che rende fratelli, amici, vicini. 

La guerra è un danno, una tragedia, una barbarie. I bambini di tutte le guerre non conosceranno la magia dei coriandoli, ma, il terrore delle bombe, dei proiettili veri, fa davvero male.

Dovremmo sperare che il Carnevale, con il suo spirito burlesco e i suoi coriandoli di carta, prenda il sopravvento sulla follia umana. È tempo di finirla con tutta questa violenza. Basta con le guerre, con le morti, con il male. 

Se proprio si vuole fare battaglia basta indossare la maschera di Pulcinella e guidare l’assalto a passo di tarantella, suggerisce Gianni Rodari. 

Comunque proviamo a condividere l’ennesimo capolavoro del Maestro d’Italia.

Viva i coriandoli di carnevale di Gianni Rodari

Viva i coriandoli di Carnevale,
bombe di carta che non fan male!
Van per le strade in gaia compagnia
i guerrieri dell’allegria:
si sparano in faccia risate
scacciapensieri,
si fanno prigionieri
con le stelle filanti colorate.
Non servono infermieri
perchè i feriti guariscono
con una caramella.
Guida l’assalto, a passo di tarantella,
il generale in capo Pulcinella.
Cessata la battaglia, tutti a nanna.
Sul guanciale
spicca come una medaglia
un coriandolo di Carnevale.

Significato della poesia

Gianni Rodari esordisce celebrando i coriandoli di Carnevale, che ci fanno indossare i panni dei guerrieri, ma in nome dell’allegria e non della violenza e della morte.

Si gioca tutti insieme. L’obiettivo è sparare in faccia dell’avversario risate e non palle di cannone. Carnevale serve per liberare la mente e costruire comunità. Se poi si vuole, scrive Gianni Rodari, si possono fare anche i prigionieri, ma non esiste filo spinato, recinti, cancelli, prigioni. Bastano le stelle filanti.

Nella battaglia di Carnevale non servono infermieri, in feriti vengono curate con le caramelle. Quanta grandezza esprime in questo concetto Gianni Rodari. 

Il mondo sarebbe più sano e più bello se nel cuore degli uomini vivesse sempre Carnevale. E dispiace che questa festa stia perdendo di smalto, rispetto al passato. 

Il Carnevale era un rito collettivo che aiutava proprio a sublimare la violenza. Il lancio dei coriandoli, secondo l’interpretazione che ha dato lo storico tedesco Walter Burkert, richiamerebbe quello della lapidazione e quindi sarebbe una sorta di sublimazione della violenza che si esprime in un omicidio collettivo.

La poesia mette poi in scena la danza, il ballo. È la festa della musica in strada. Non a caso, l’assalto agli avversari è “a passo di tarantella” e chi guida le truppe non è 
il generale Pulcinella.

Finita la battaglia poi non si dorme in trincea, si torna tutti a casa e l’unica meglio guadagnata dopo i festosi scontri non è quella d’oro al valor militare, ma un semplice coriandolo di Carnevale. 

Ma come sono nati i coriandoli di carnevale?

La tradizione dei coriandoli a Carnevale risale ai festeggiamenti del Rinascimento.

Annarita Saraceni, sul sito del dizionario Treccani, evoca l’origine del vocabolo già nei trattati di botanica del fiorentino Giovanvettorio Soderini (XVI secolo). Soderini menzionava già l’uso di ricoprire di zucchero i semi di coriandolo per trasformarli in piccoli confetti.

Non a caso, in inglese i coriandoli vengono chiamati confetti.  Successivamente, i confetti furono superati da palline di gesso colorato, più economiche e variopinte.

L’inventore dei coriandoli più attuali, di carta, sono datati 1875. L’ing. Enrico Mangili a Crescenzago, vicino Milano, cominciò a usare i dischetti di scarto dei fogli di carta usati per l’allevamento dei bachi da seta.

Nel 1876 un triestino di nome Ettore Fenderl, allora ragazzino, pensò di ritagliare pezzetti di carta per sostituire i coriandoli di gesso, che non poteva permettersi di comprare. 

Ecco perché dalla fine del secolo scorso, i pezzetti di carta, più facili da realizzare e più economici diventarono il simbolo della festa per eccellenza. 

Lanciarsi gli oggetti a Carnevale

Sappiamo bene che in molte città lanciarsi oggetti, frutta, caramelle è storia antica. L’usanza di lanciare piccoli oggetti risale, ancora prima del Rinascimento italiano.

Nell’antica Grecia, gli storici hanno evidenziato il rito della phyllobolia, cioè il lancio di foglie.

Nelle cerimonie celebrative, matrimoni, vittorie, anche funerali venivano lanciate foglie e petali di fiori, ma anche rametti. Il poeta greco Stesicoro ne parla per il matrimonio di Elena e Menelao.

Scene di phyllobolia sono rappresentate su vasi greci. Se ci pensiamo anche oggi i coriandoli sono usati soprattutto durante i grandi eventi sportivi e in occasione di molte feste.

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