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“Trent’anni”, una poesia di Ennio Cavalli per riconnetterci con il bambino che è in noi

Tutti noi siamo stati bambini. Ma quel pezzetto di innocenza è ancora oggi dentro di noi? "Trent'anni" è una commovente poesia in cui Ennio Cavalli parla al sé del passato, cercando una connessione fra l'uomo che è oggi e il bambino che era un tempo.

“Trent’anni” è una poesia attraverso cui Ennio Cavalli dialoga con il bambino che è in noi.

Succede che ad un tratto ci troviamo cresciuti. Non ricordiamo nemmeno come sia accaduto. Il tempo, però, è passato, e ha ricoperto la nostra giovinezza con la sua patina opaca di ricordi e cambiamenti. “Trent’anni”, la meravigliosa poesia composta dall’autore romagnolo Ennio Cavalli, è un emozionante ritorno alle origini, un dialogo con il sé bambino con cui l’autore cerca di riconnettersi.

Il poeta del quotidiano

Ennio Cavalli è un poeta sensazionale. Nei suoi versi si condensano le esperienze più comuni, quelle che scandiscono le nostre giornate e che, leggendo le opere dell’autore, ci arrivano dritte al cuore con una potenza inaudita. Così, un flebile ricordo che si affaccia nella nostra memoria si trasforma in un’ondata di emozione, il semplice gesto di raccogliere un frutto in giardino apre la via a mondi inesplorati, l’esperienza di un incontro casualmente piacevole e fugace con una ragazza in un bar si tinge di una bellezza tanto quotidiana quanto straordinaria.

Con il suo stile che mescola la ricercatezza del lessico e le incursioni della prosa e del mondo dell’informazione, Ennio Cavalli entra nelle nostre vite mostrandocele con occhi nuovi. Proprio come avviene in “Trent’anni”, la poesia che vi proponiamo oggi.

In questi versi, Cavalli ci racconta una sensazione che almeno tutti, una volta nella vita, abbiamo sperimentato: cresciamo, sappiamo di crescere ogni giorno di più, ogni istante di più. Nonostante ciò, ci sono momenti in cui ci ritroviamo diversi, nuovi, e ci chiediamo se siamo ancora le persone che eravamo prima. Sono sensazioni che ci colpiscono soprattutto in momenti focali della nostra esistenza, proprio come nel caso della poesia che leggeremo a breve, che si intitola appunto “Trent’anni” e che fa riferimento ad un nuovo traguardo – probabilmente un po’ temuto -, quello dei trent’anni.

Il bambino che vive in noi

Tutto il componimento è rivolto al bambino che l’io lirico riconosce di essere stato. Ennio Cavalli gioca su un duplice piano, quello dell’uomo che ricorda e quello del bambino che, quasi cristallizzato, compie nella memoria le azioni familiari di un tempo:

“Sono padre del bimbo che odiava l’aritmetica
e adesso suddivide estri per variabili future”.

Attraverso il costante rimando a quel bambino, in “Trent’anni” Ennio Cavalli crea un gioco di specchi in cui esprime tutta la sua gratitudine nei confronti del sé del passato e del percorso che lo ha portato ad essere ciò che è adesso.

E si chiede se questo “fanciullino”, per usare un termine di pascoliana memoria, sia scomparso o se, piuttosto, un pezzetto di lui gli abiti ancora nell’anima, nascosto, infastidito dalle ipocrisie e dalla monotonia dell’età adulta, ma eternamente legato al presente dell’io lirico:

“O forse vive un poco in me, chimicamente esausto,
un poco per il mondo,
nelle notizie edificanti dei giornali
nelle paure come foglie accatastate
e mai un falò, un argomento a incenerirle.
Resterà per capire, ad annusare.
Sarà un’idea nel quaderno delle imprecisioni
la sorpresa riletta in una foto”.

Trent’anni di Ennio Cavalli

Sono padre del bimbo che a dieci anni
su questi muscoli trottava incontro
a un’abitudine già adulta
e con la stessa lingua moltiplicava feste e avvilimenti
i crucci perentori, indelebili obiezioni.
Un uomo tra germoglio e ramo,
vocale liquida nel doppiosenso.

Sono padre del bimbo che odiava l’aritmetica
e adesso suddivide estri per variabili future.
Gli ho insegnato a non piangere,
che la solitudine teme chi ha in casa un giradischi,
per amico un gatto o un’idea.
Si paracadutava nell’istinto e gli ho mostrato ortica e miele
la pesca col suo baco.

I miei occhi con lui hanno mangiato primavere
(profumate vivande)
e magnolie gonfie come colombe sui rami.
Abbiamo passato stagioni nel cappottino più corto,
oppure spavaldi in qualche capitale europea.
Le sue scarpe mi starebbero strette,
nelle mie immagina ancora
una meta importante, appuntamenti a Milano.

Tentava l’O di Giotto,
l’inconfutabile circoscrizione del talento.
Docile avversario, il muro trasformava palloni
in prodezze al volo (a quale finestra una bambina?).
Tra i suoi bottini, uova di lucertola
un otto a scuola, la Bianchi col cambio
per quella tappa in falsopiano.

Dovrei avere il triplo di saggezza.
Mi appello invece a sue nozioni elementari,
il cuore sempre a due spanne dalla testa.
Dov’è a quest’ora? Ucciso dal chiodo della cresima
soffocato di sangue adolescente
da padre tartaro squartato col coltello,
mi lasciò le sue ossa e il profilo.
Dorme in un cimiterino di paese
dopo la polvere e dopo le magnolie.
Questi trent’anni sgocciolati e in bilico
sono il segreto, l’esile zavorra messa in salvo.

O forse vive un poco in me, chimicamente esausto,
un poco per il mondo,
nelle notizie edificanti dei giornali
nelle paure come foglie accatastate
e mai un falò, un argomento a incenerirle.
Resterà per capire, ad annusare.
Sarà un’idea nel quaderno delle imprecisioni
la sorpresa riletta in una foto.

Ennio Cavalli

Nato a Forlì il 29 ottobre 1947, l’autore di “Trent’anni” è un prolifico scrittore, giornalista e poeta. Con le sue opere in prosa, per lo più dedicate a bambini e ragazzi, ha vinto diversi premi che lo hanno reso celebre. Ma è con la poesia che l’autore romagnolo si è sbizzarrito, producendo raccolte che spaziano da un tema all’altro, dal mondo civile al senso della vita, dalla tematica della memoria a quella dell’amore. La sua ultima pubblicazione risale al gennaio del 2022, quando è uscito con “Amore manifesto” per La Nave di Teseo.

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