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Sylvia Plath, l’illusione e la realtà nella poesia “Canto del fuoco”

Sessant'anni fa ci lasciava Sylvia Plath, l'autrice che ha raccontato il suo mondo interiore attraverso una poesia che fa breccia nel cuore e incanta. La ricordiamo leggendo "Canto di fuoco", un componimento che parla dell'amore e dell'asprezza del reale.

L’11 febbraio 1963 ci lasciava Sylvia Plath. A sessant’anni dalla scomparsa di questa magnifica poetessa, vogliamo ricordarla con un componimento, intitolato “Canto del fuoco”, che ci fa entrare prepotentemente nella visione della grande autrice.

Amore salvifico?

Sylvia Plath, con i suoi versi, ha raccontato l’essere donna, l’amore totalizzante, la speranza, la disillusione, il dolore e perfino la morte. In “Canto del fuoco” riusciamo a leggere tutte queste tematiche, legate insieme dall’ambientazione mitica del Giardino dell’Eden e dal soggetto della poesia, con cui la scrittrice invita ad amare di un amore bruciante, che non può guarire le ferite, né può ricondurre il mondo al suo stato di puro equilibrio primordiale.

Ciò che possono fare due amanti è soltanto condividere il dolore, la confusione e la disillusione di chi è calato in una realtà descritta come un “mucchio di letame dove tutto è intricato tanto/che nessuna indagine precisa/potrebbe sbloccare/la presa furba che frena ogni nostro gesto fulgente,/riportandolo alla fanga primordiale sotto un cielo guasto”.

“Canto del fuoco” di Sylvia Plath

“Nascemmo verdi
a questo giardino in difetto,
ma nella spessura macchiettata, grinzosa come un rospo,
il nostro guardiano si è imboscato malevolo
e tende il laccio
che abbatte cervo, gallo, trota, finché ogni cosa più bella
arranca intrappolata nel sangue sparso.

Nostro incarico è ora di strappare
una forma di angelo con cui ripararsi
da questo mucchio di letame dove tutto è intricato tanto
che nessuna indagine precisa
potrebbe sbloccare
la presa furba che frena ogni nostro gesto fulgente,
riportandolo alla fanga primordiale sotto un cielo guasto.

Dolci sali hanno attorcigliato i gambi
delle malerbe in cui ci dimeniamo instradati verso fine ammorbante;
bruciati da un sole rosso
leviamo destri la selce appallottolata, tenuti nei lacci spinati delle vene;
amore ardito, sogno nullo
il metter freno a tanta superba fiamma: vieni,
unisciti alla mia ferita e brucia, brucia”.

“Firesong”

“Born green we were
to this flawed garden,
but in speckled thickets, warted as a toad,
spitefully skulks our warden,
fixing his snare
which hauls down buck, cock, trout, till all most fair
is tricked to faulter in split blood.

Now our whole task’s to hack
some angel-shape worth wearing
from his crabbed midden where all’s wrought so awry
that no straight inquiring
could unlock
shrewd catch silting our each bright act back
to unmade mud cloaked by sour sky.

Sweet salts warped stem
of weeds we tackle towards way’s rank ending;
scorched by red sun
we heft globed flint, racked in veins’ barbed bindings;
brave love, dream
not of staunching such strict flame, but come,
lean to my wound; burn on, burn on”.

Sylvia Plath

Sylvia Plath nasce a Boston il 27 ottobre del 1932. Dimostra passione e talento precoci per la scrittura, pubblicando la sua prima poesia all’età di otto anni. Nello stesso periodo, il padre subisce l’amputazione di una gamba e muore, in seguito alle complicazioni di un diabete mellito diagnosticato troppo tardi, il 5 ottobre 1940.

La perdita del padre lascia un segno indelebile nella vita della poetessa. Sylvia Plath soffre durante tutta la sua vita adulta di una grave forma di depressione che si alterna a periodi di intensa vitalità. Le sue poesie sono intrise, infatti, di elementi cupi e destabilizzanti frammisti a momenti di sincera meraviglia e forte dinamismo.

Il 26 Agosto del 1953 Sylvia Plath tenta per la prima volta il suicidio. A Cambridge, conosce il poeta inglese Ted Hughes, che sposa nel 1956. Dall’unione dei due autori nascono due figli, ma la separazione è dietro l’angolo: Sylvia e Ted divorziano infatti pochi anni dopo le nozze, nel 1962. Dalle testimonianze rinvenute, sembra che Hughes avesse una relazione extraconiugale con la moglie di un suo amico e che, inoltre, avesse assunto diverse volte un comportamento molto violento nei confronti di Plath.

Sylvia Plath muore poco dopo il divorzio con il marito. Si suicida l’11 febbraio del 1963: dopo aver preparato la colazione per i figli, si chiude in cucina e mette la testa nel forno a gas. Alcuni studiosi sostengono che la poetessa non avesse veramente intenzione di togliersi la vita, ma di attirare l’attenzione per chiedere un aiuto disperato.

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