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“Profugo” di Maḥmūd Darwīsh, una poesia dedicata ai migranti

Fra i tanti autori che si sono occupati di migranti e sofferenze legate alla guerra, troviamo sicuramente il palestinese Maḥmūd Darwīsh con la poesia "Profugo"
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Profugo di Maḥmūd Darwīsh è una poesia per riflettere su chi è costretto a lasciare le cose che ama, la propria casa, io familiari, gli amici per cercare di salvare la vita o per ottenere un futuro migliore.

Basta guardare lue scene delle migliaia di famiglie in fuga dalla guerra, prima in Ucraina e adesso in Palestina, per rendersi conto di ciò che significa essere profughi. 

Bisognerebbe mostrare maggiore empatia per comprendere cosa provano i rifugiati e tutti coloro costretti a lasciare la loro Terra.

Profugo di Maḥmūd Darwīsh

Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: “Assassino!”,
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: “Ladro!”,
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: “Profugo!”.
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte è effimera,
né gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perché i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.

Una poesia che dà voce a tuti i profughi

Iniziamo a fare un commento di questa poesia partendo dai versi finali che riteniamo davvero meravigliosi. Maḥmūd Darwīsh dona speranza e amore a tutti i profughi. 

Dopo la miriade di soprusi subiti, Hanno detto: “Assassino”, Hanno detto: “Ladro!”, dopo essere stati respinti in tutti i porti e approdi, dopo averli etichettati e marchiati con la parola Profugo, arriverà il momento della rinascita. 

I chicchi della mia spiga che va seccando riempiranno la valle di grano è il verso che chiude la poesia e che il simbolo della speranza che ogni profugo, ogni migrante vorrebbe poter sentire. 

La condizione dei profughi è un topos ricorrente tanto nella letteratura quanto nel mondo del cinema e dell’arte. Si tratta di una tematica sempre più attuale. Fra i tanti autori che si sono occupati di migrazioni e sofferenze legate alla guerra, troviamo sicuramente il palestinese Maḥmūd Darwīsh.

Con “Profugo”, Maḥmūd Darwīsh si inserisce nel filone più importante della poesia arabo-palestinese, che esprime il dolore tipico di chi è costretto a fuggire via e il loro distacco da una terra amata profondamente.

Se questi versi sono tanto celebrati ancora oggi, lontano dalla Palestina, è perché in molti vivono la condizione di profugo la cui storia e il cui nome sembrano perduti per sempre.

Profugo è chi cerca un nuovo posto in cui vivere, nella speranza di avere un futuro, un lavoro, una nuova vita. Nei suoi occhi c’è la disperazione del passato, ma soprattutto il fuoco della speranza.

Basti pensare, che il profugo lascia molte volte tutto ciò che amava, perché non è possibile poter vivere nella sua terra, nella sua casa, con la sua famiglia, co glia mici con cui cresciuto. 

Chi era Maḥmūd Darwīsh

Nato in Palestina nel 1941, Darwīsh è stato un poeta, scrittore e giornalista prolifico. È noto per essere stato membro dell’Autorità Nazionale Palestinese e per aver militato fino alla fine in difesa della sua terra natia, sebbene abbia vissuto la maggior parte della sua vita in esilio. È lui l’autore della celebre “Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato Palestinese”.

Il dolore del distacco dalla Palestina ha sempre accompagnato la sua produzione letteraria. Le ventiquattro raccolte di poesie da lui composte sono amatissime dai lettori arabi, e trattano temi quali la patria perduta, la guerra, la disillusione e la perdita della propria identità.

Mahmoud Darwish è morto all’età di 67 anni a Houston (Texas) il 9 agosto 2008, per le complicanze di un delicato intervento al cuore (già ne aveva subiti nel 1984 e nel 1998). Mahmoud Darwish è la prima e unica personalità palestinese dopo Arafat alla quale sono stati concessi i funerali di stato.

Maḥmūd Darwīsh le opere 

Una memoria per l’oblio, postfazione di Gianroberto Scarcia, Roma, Jouvence, 1997.

Meno Rose, prefazione di Gianroberto Scarcia, Venezia, Cafoscarina, 1997.

Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine, traduzione di Lucy Ladikoff, Genova, S.Marco dei Giustiniani, 2001

Murale, traduzione di Fawzi Al Delmi, Milano, Epoché, 2005.

La mia ferita è una lampada ad olio, traduzione di Francesca M. Corrao – Raffaella LA Scaleja, Roma, De Angelis, 2006.

Oltre l’ultimo cielo. La Palestina come metafora, traduzione di Gaia Amaducci – Elisabetta Bartuli – Maria Nadotti, Milano, Epoché, 2007.

Il letto della straniera e altre poesie d’amore, traduzione di Chirine Haidar, Milano, Epoché, 2009.

Come fiori di mandorlo o più lontano, traduzione di Chirine Haidar, Milano, Epoché, 2010.

Stato d’assedio, traduzione di Wasim Dahamsh, Roma, Edizioni Q, 2014.

Una trilogia palestinese, a cura di Elisabetta Bartuli, Milano, Feltrinelli, 2014.

Il giocatore d’azzardo, traduzione di Ramona Ciucani, Messina, Misogea 2015.

Undici pianeti, a cura di Silvia Moresi,  Milano, Jouvence, 2018.

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