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“Sei incancellabile tu” di Bukowski, una poesia sulla rinascita di un cuore ferito

Il tempo guarisce le ferite. Bisogna avere pazienza, e fiducia. Lo racconta Charles Bukowski nella poesia in forma di lettera "Sei incancellabile tu".

Sei incancellabile tu” è il titolo di una toccante poesia, scritta in forma di lettera, in cui Charles Bukowski si interroga sui suoi sentimenti. e sulle ferita

Curare le ferite del cuore

Perché non è sempre semplice fare i conti con il proprio cuore e, soprattutto dopo aver sofferto per amore, acquisire consapevolezza su ciò che si prova richiede un percorso lungo, spesso travagliato e non privo di ostacoli.

Così accade che, come ci racconta qui Charles Bukowski, sopprimiamo i sentimenti, li nascondiamo alla vista sperando di non doverci mai più fare i conti, e cerchiamo di andare avanti come se niente fosse.

Poi, il tempo ci anestetizza un po’ alla volta, e crediamo di non riuscire più a provare niente. Come se fossimo una tabula rasa incapace di altri colori oltre al bianco.

È solo quando siamo veramente pronti, quando le ferite si rimarginano, che torniamo ad amare noi stessi e gli altri, e a riconoscere i nostri sentimenti anche nei confronti di chi ci ha lasciati soli e ci ha fatti soffrire. “Sei incancellabile tu” di Bukowski parla proprio di questo, della rinascita della consapevolezza e dei sentimenti nel cuore convalescente.

“Sei incancellabile tu” di Charles Bukowski

“Succede che una mattina ti svegli e vedi che fuori non piove più e allora ti chiedi – beh? Che è successo?

Ecco, quella mattina successe a me che da tanto tempo non amavo, ma non per chissà quale motivo, non amavo e manco io sapevo il motivo preciso, ma forse sì che lo sapevo: che senso poteva avere per me l’amare se non amare che te?

Quella mattina io avevo una gran voglia di dirti – ti amo -, almeno credo.

Quanto mi manchi amore mio. Certo, io lo sapevo già dentro di me di questa cosa che mi manchi ma l’ho capita bene solo quando fuori ha smesso di piovere e a me mi giocava il cuore.

È che prima avevo la scusa per non vedere il sole, pioveva, mica era colpa mia, ma le nuvole ora sono andate via portandosi dietro tutte le scuse. Ok, tu non ci sei, ok, ma va bene, va bene anche se va male, va bene perché io ti amo lo stesso.

C’è come un diario che ho chiuso nel petto, sento che devo tirarlo fuori e devo farlo senza schemi se non gli schemi che mi porto nel cuore.

Ah! Mannaggia mannaggia, mannaggia al cuore che non sa far calcoli ma che pure spesso sbaglia i conti.

Ma io non ero riuscito a dirti quel ti amo.

Era una primavera quando andasti via, lo ricordi? Io cercavo di farmi forza, la vita andava avanti sentivo dirmi da tutti.

Quando te ne sei andata io mi sono un po’ rincoglionito.

Mi persi, diciamoci la verità, perdendoti io mi persi. E tu? Ah! No scusa, non volevo chiederti se anche tu ci sei rimasta male, era un e tu come stai? Roba del genere insomma, un e tu cosa fai ora? Che stai facendo adesso, adesso è in questo momento, che stai facendo in questo momento? Non mi interessa cosa stai facendo nella vita, io non ci sono più nella tua vita, cosa vuoi che mi importi?

Sicuramente starai facendo tante cose belle, bellissime, ma a me importa adesso, adesso adesso mi importa, adesso in questo momento. Io adesso ti sto pensando facendomi del male. Io vorrei non pensarti ed averti invece qui, qui vicino a me.

Ma non ci sei. Non voglio pensarti ma non lasciarmi solo, non andare via anche dai miei sogni.

Tu dolce ferita mi tagli il cuore, ma io sorrido sai? Non mi fa male questo maledetto male. Sorrido perché dentro ci sei te e ti vedo, almeno posso vederti. Ti vedo pure che dai un bacio a quello lì e questo un pò a dirti il vero mi fa incazzare.

Ma tu non lasciarmi lo stesso, tienimi con te pure se sono incazzato.

Tienimi con te. Non mi fa male la ferita al cuore, no, non mi fa male, sei tu che non ci sei, non andare via oltre.

A volte mi sento tanto forte da poterti dire che non esisti senza di me.

Ma non è vero sai? È che ci provo ad andare avanti, bisogna comunque provarci o almeno provo a convincermi che bisogna provarci.

Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette o che non smette, facesse cosa cavolo vuole la pioggia, fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei qui a pensare a dimenticarti senza cancellarti.

Sei incancellabile tu.

Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia, solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere?”.

Charles Bukowski

Henry Charles Bukowski Jr. nasce ad Andernach, in Germania, nel 1920, da padre statunitense e madre tedesca. Noto anche con il nome del suo alter-ego letterario, Henry Chinaski, Bukowski è autore di numerose opere, fra cui romanzi, racconti e poesie.

Viene associato alla corrente del cosiddetto “realismo sporco”, sviluppatasi negli Stati Uniti fra gli anni ’60 e gli anni ’80 del Novecento e di cui fa parte anche Raymond Carver.

Il piccolo Charles Bukowski si trasferisce con i genitori negli Stati Uniti all’età di 3 anni. Los Angeles resterà sempre il luogo delle narrazioni dell’autore, affascinato ed anche deluso da ciò che la città gli ha offerto.

Dopo essersi diplomato, Bukowski segue dei corsi di arte, giornalismo e letteratura. Comincia a scrivere all’età di 24 anni. Non smette più fino alla morte, producendo innumerevoli opere fra cui molti racconti brevi, caratterizzati da una realistica asciuttezza.

A partire dal 1960 lavora negli Uffici Postali della città, e nel 1962 resta traumatizzato dalla morte della donna che ama, Jane Cooney Baker.
Da questo tragico avvenimento hanno origine strazianti racconti e poesie che sprigionano il dolore di una vitalità e di un amore perduti per sempre. Nel 1969 Bukowski abbandona il lavoro alle poste per scrivere a tempo pieno, spinto dall’offerta dell’editore “Black Sparrow”.

La fama continua a crescere e la vita dell’uomo diviene sregolata, strabordante di vizi e sregolatezza: l’alcol, il fumo e il sesso diventano un grande topos della sua produzione letteraria. Nel 1988 si ammala di tubercolosi, ma continua a scrivere, instancabile. Muore il 9 marzo 1944, stroncato da una leucemia fulminante.

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