“Papaveri in ottobre” (1962) di Sylvia Plath, irresistibile poesia di una donna fragile contro l’indifferenza

30 Settembre 2024

I versi di "Papaveri in ottobre"di Sylvia Plath sono un inno contro l'indifferenza. C'è troppa fragilità in giro e bisognerebbe prendersi cura offrendo attenzione.

"Papaveri in ottobre" (1962) di Sylvia Plath, stupenda poesia di una donna fragile contro l'indifferenza

Papaveri in ottobre di Sylvia Plath è una poesia malinconica che mette in scena la tristezza e l’indifferenza del mondo in cui viviamo riguardo alla bellezza, alla fragilità femminile e per certi versi della  natura che è emblema della donna.

Una poesia che chiede di avere maggiore attenzione nei riguardi di chi dona agli altri qualcosa. Una poesia a cogliere la bellezza e a fare qualcosa per aiutarla a vivere. Una poesia di condanna all’indifferenza generalizzata.

Una poesia non facile per i diversi simboli che contiene. Non dimentichiamo che i papaveri crescono e offrono la loro bellezza nella tarda primavera e e nella prima estate. Quindi, Poppies in October, questo mil titolo originale della poesia, può prendere ispirazione dal Remembrance Day, festività britannica in cui la gente espone i papaveri per onorare i soldati morti in guerra.

Questa pratica iniziò alla fine della Prima Guerra Mondiale e continua ancora oggi. Il Remembrance Day si celebra l’11 novembre. È normale che i fiori iniziano a vedersi nelle vetrine e nei centri commerciali già ad ottobre. Questa visione ispirò l’autrice, in quanto richiama un’esperienza malinconica di dolore e di morte.

Ma, leggiamo la poesia di Sylvia Plath per cercare di scoprirne il significato e coglierne i simboli

Papaveri in ottobre di Sylvia Plath

Nemmeno le nubi assolate possono fare stamattina gonne così.
Né la donna dell’ambulanza
Il cui rosso cuore sboccia prodigioso dal mantello.

Dono, dono d’amore
Del tutto non sollecitato
Da un cielo

Che in un pallore di fiamma
Accende i suoi monossidi di carbonio, da occhi
Indifferenti e spenti sotto i bowlers.

O Dio, chi sono mai
Io da far spalancare in un grido queste tarde bocche
In una foresta di gelo, in un’alba di fiordalisi.

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Poppies In October, Sylvia Plath

Even the sun-clouds this morning cannot manage such skirts.
Nor the woman in the ambulance
Whose red heart blooms through her coat so astoundingly —

A gift, a love gift
Utterly unasked for
By a sky

Palely and flamily
Igniting its carbon monoxides, by eyes
Dulled to a halt under bowlers.

O my God, what am I
That these late mouths should cry open
In a forest of frost, in a dawn of cornflowers.

I Papaveri in ottobre una preghiera a prendersi cura degli altri

Papaveri in ottobre è una poesia di Sylvia Plath di grande potenza emotiva e di forte e profondo significato. Bisogna leggerla più volte e ascoltare chi ha già cercato di spiegarne il contenuto. Bisogna per forza contestualizzarla con la vita di questa grandissima, ma sfortunata poetessa, la quale ha sofferto e ha sacrificato la sua vita di fronte all’indifferenza che l’accompagnava.

La poesia riflette la preoccupazione di Sylvia Plath per l’indifferenza di fronte alla fragilità della vita. E la sensibilità femminile, vivendo la fragilità di una società che la resa tale, riesce a cogliere la solitudine che vive il genere umano.

La bellezza simbolica dei papaveri, che in ottobre la natura non dona, sono fiori della tarda primavera e della prima estate, è un invito provocatorio a guardare il bello anche dove non c’è.

La poetessa inizia la poesia enfatizzando la bellezza dei papaveri (gonne), i quali nella sua condizione di donna che ha conosciuto la depressione, ha dovuto vivere gli effetti degli oppiacei, che come sappiamo arrivano proprio da questi fiori.

La poetessa continua affermando che “neppure la donna dell’ambulanza, il cui rosso cuore sboccia prodigioso dal mantello”. La donna con il cuore rosso e l’ambulanza sono sinonimo di cura e di altruismo. Di certo offrono altre letture, ovvero rappresentano la fertilità femminile, la morte, il dolore.

Ma entrando dentro la poesia appare chiaro che Sylvia Plath sta mettendo al centro ciò che l’immagine dei papaveri le procurano. Per esaltarne sviluppa il paragone con le nuvole assolate e con la donna dell’ambulanza che potrebbe essere un’infermiera, intenta ad offrire le proprie cure e il proprio aiuto agli altri. La stessa donna potrebbe vivere la felicità di diventare mamma.

No, né i raggi del sole che illuminano la vita, né la donna qualsiasi sia l’amore che esprime possono uguagliare il potere delle “gonne”, ovvero dei fiori rossi.

I papaveri sono per l’autrice un “immenso dono d’amore” nato per caso, in nessun modo “sollecitato”. Sono una bellezza divina nati dallo stesso cielo che invece genera morte e indifferenza.

È tangibile che Sylvia Plath stia camminando per Londra, lo confermano i monossidi di carbonio e gli occhi degli uomini d’affari inglese con il classico bowler, il cappello a bombetta molto diffuso nella city londinese di quegli anni. L’inquinamento della città e l’indifferenza di quegli uomini intenti solo a camminare e a pensare ai fatti loro, non ha niente a che fare con la bellezza che esprimono quei papaveri.

Nell’ultima strofa Sylvia Plath si appella al Creatore

O Dio, chi sono mai
Io da far spalancare in un grido queste tarde bocche
In una foresta di gelo, in un’alba di fiordalisi.

In questo c’è l’essenza di riconoscere i propri limiti umani e di non avere la forza di sollecitare l’attenzione dell’umanità per eliminare l’odiosa indifferenza riguardo all’attenzione nei riguardi di chi si sente fragile, indifesa.

La poetessa cerca di sollecitare a guardare al prossimo, a cogliere la bellezza di tuto ciò che circonda. Ovvero preferire la bellezza dei “fiordalisi” alla “foresta di gelo” che invece sembra colpire il Mondo.

È chiara la richiesta di aiuto e allo stesso tempo l’amarezza nel cogliere la diffusa indifferenza generale riguardo a ciò che meriterebbe di essere tutelato come prezioso.

Il contesto è utile per cogliere il significato di Papaveri in ottobre 

Come indica il titolo, la poesia si svolge in ottobre. Questo è un dettaglio importante perché i papaveri di solito fioriscono nei mesi primaverili o estivi, non nei mesi più freddi dell’autunno o dell’inverno. Ciò rende la presenza di questi papaveri colorati inaspettata e straordinaria.

Forse chi parla sta assistendo a una sorta di evento fantastico, sta guardando dei fiori recisi o secchi in una vetrina, o semplicemente ricorda di aver visto dei papaveri all’inizio dell’anno. Non crediamo non ci sia un riferimento agli oppiacei, anche se in altre poesie come Papaveri in luglio il riferimento alle sostanze ricavate dai fiori di papavero erano più evidenti.

Sembra più evidenti che quei fiori utilizzati per ricordare e offrire attenzione a milioni di caduti di tutte le guerre, abbia esercitato nell’animo della poetessa un emozione fortissima. Forse, in quel momento avrebbe voluto essere anche lei uyna vittima della guerra, proprio per avere quell’amore che non sentiva ricevere da parte del mondo che la circondava.

Il trasferimento in Inghilterra e l’incontro con il poeta Ted Hughes

Sylvia Plath si trasferì in Inghilterra grazie ad una borsa di studio. Era riuscita ad entrare nel 1955 all’Università di Cambridge in Inghilterra. Qua conobbe il poeta Ted Hughes e i due si sposarono il 16 giugno 1956. La loro fu una storia abbastanza tormentata e dopo la nascita del secondo figlio il rapporto con il marito s’incrinò a causa si una relazione di lui con Assia Wevill. Si separarono alla fine dell’estate del 1962.

A dicembre del 1962, Sylvia Plath si trasferì a Londra con i figli, Frieda e Nicholas. In quel periodo scrisse tantissime poesie e completò la sua seconda raccolta, Ariel, che però rimase sulla sua scrivania e venne pubblicata postuma, alterata dal marito, nel 1965.

È solo nel 2004 che la figlia Frieda diede alle stampe il manoscritto originale Ariel: The Restored Edition. L’inverno tra il 1962 e il 1963 fu molto duro, il più freddo degli ultimi cent’anni, la mancanza di soldi, la solitudine e la salute dei figli spesso malati cominciarono a pesarle. La depressione era tornata. Il 14 gennaio 1963 venne pubblicato il suo romanzo La campana di vetro, con lo pseudonimo di Victoria Lucas.

L’11 febbraio 1963 era passato solo un mese dalla pubblicazione de La campana di vetro quando Sylvia Plath si tolse la vita. Durante la notte sigillò porta e finestre della cucina e inserì la testa nel forno a gas, non prima di aver preparato pane, burro e due tazze di latte e aver spalancato la finestra della camera dei suoi bambini.

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