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“Notturno” (1915) di James Joyce, la geniale poesia sulla crisi della spiritualità

Scopri il significato di "Notturno", la poesia di James Joyce che interpreeta la grande crisi delle certezze sociali e religiose.

Notturno (Nightpiece) è una poesia di James Joyce che celebra una visione di una notte d’estate, in cui tutto si trasforma in qualcosa di enigmatico e celeste, evocando un senso di vastità e mistero.

James Joyce riesce a raccontare la notte che si presenta ai suoi occhi attraverso versi che ad ogni strofa riescono a dipingere una diversa fase della notte. 

La notte diventa rappresentativa della disillusione e incertezza spirituale che pervadeva i primi anni del XX secolo, offrendo al contempo uno sguardo su un regno al di là del mondo materiale.

Notturno fu scritta da James Joyce mentre viveva a Trieste nel 1915 e fu pubblicato per la prima volta nella sua raccolta di poesie Pomes Penyeach, pubblicata nel 1927.

Ma leggiamo questa rappresentazione della notte attraverso i versi di James Joyce.

Notturno di James Joyce

Smunte nella tenèbra
entro a sudari, pallide stelle
le loro torce agitano.
Fatue luci dai più remoti cieli schiaran fioche,
archi su archi svettanti,
la navata della notte nera di peccato.

Serafini,
le osti perdute si svegliano
a servire sino a che
in illune tenèbra ognuna ricade, smorta,
levato che abbia e agitato
il suo turibolo.

E a lungo e alto,
per la notturna navata che si estolle
battito di stelle rintocca,
mentre squallido incenso gonfia, nube su nube,
ai vuoti spazi dall’adorante
deserto d’anime.

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Nightpiece, James Joyce (Testo Originale)

Gaunt in gloom,
The pale stars their torches,
Enshrouded, wave.
Ghostfires from heaven’s far verges faint illume,
Arches on soaring arches,
Night’s sindark nave.

Seraphim,
The lost hosts awaken
To service till
In moonless gloom each lapses muted, dim,
Raised when she has and shaken
Her thurible.

And long and loud,
To night’s nave upsoaring,
A starknell tolls
As the bleak incense surges, cloud on cloud,
Voidward from the adoring
Waste of souls.

Trieste 1915

Il fascino della notte interpretata da James Joyce

Notturno di James Joyce descrive una scena cupa ma maestosa, che appare la poeta in una notte di Trieste, dove immagina che le stelle siano come un araldo di angeli che svaniscono nel cielo che si oscura.

Nightpiece inizia con una visione delle stelle che appaiono tetre e sterili nella “cupezza” della notte. Sono “pallide” e agitano le loro luci oscurate “dai margini lontani del cielo”.

Joyce ci ofrre un paragone moloto interessante, crea una similitudine tra il cielo notturno e l’interno di una chiesa. Ne immagina “archi su archi svettanti” che si estendono e comprendono la totalità di ciò che si trova al di là dell’atmosfera terrestre.

L’autore irlandese immagina che gli angeli  si risvegliano come “schiere perdute” nel “buio senza luna” prima di scomparire uno ad uno.

Prima di farlo, però, sollevano il loro “turibolo” (l’incensiere utilizzato durante la funzioni dai preti) scuotendolo per rilasciare l’incenso. In questo scenario religioso, James Joyce sente il rintocco sonoro della campana di una chiesa che annuncia la continua ascesa del fumo oltre le nuvole.

Il cielo della notte come la navata di una chiesa immensa

Andando più in profondità con le diverse parti della lirica, il sestetto di apertura di Notturno crea, in chi legge questa poesia, una scena di ipnotica bellezza e allo stesso tempo cupa, malinconica.

Una scena che si concentra principalmente, per tutta la durata della poesia, sulla vaga presenza delle stelle che riempiono il cielo notturno osservate da Joyce.

Smunte nella tenèbra
entro a sudari, pallide stelle
le loro torce agitano.
Fatue luci dai più remoti cieli schiaran fioche,
archi su archi svettanti,
la navata della notte nera di peccato.

Nei primi due versi, quelle luci celesti sono descritte come “smunte” e “pallide”. James Joyce vuole trasmettere non solo la loro debole lucentezza ma anche il loro aspetto sparuto e malaticcio.

Le stelle sono anche personificate come se brandissero delle torce, come se fossero persone che navigano nell’oscurità in cui sono “avvolte”.

Sempre accentuando la loro debolezza, il poeta accentua l’effetto etereo delle stelle rappresentandole come fantasmi. Queste “fiammelle” finiscono per illuminare una nuova visione: quella in cui i confini del cielo si rivelano come “archi svettanti su archi” all’interno della “nnavata della notte”.

L’immaginario di james Joyce trasforma il cielo notturno, nell’interno di una cattedrale di dimensioni cosmiche.

Le stelle come angeli ardenti

Il secondo sestetto di Notturno, continua con questa visione onirico-religiosa del poeta.

Serafini,
le osti perdute si svegliano
a servire sino a che
in illune tenèbra ognuna ricade, smorta,
levato che abbia e agitato
il suo turibolo.

James Joyce paragona le stelle ai serafini, sono angeli del settimo coro, che è il più elevato e vicino al trono di Dio, angeli associati alla rivelazione e al fuoco.

L’autore dell’Ulisse quindi immagina queste “schiere perdute” di angeli che attraversano i cieli. Ma, nonostante lo splendore etereo di un simile spettacolo, la scena sembra svanire velocemente.

Joyce rivela che gli angeli si risvegliano solo per svolgere un “servizio” specifico, ovvero agitare il loro turibolo. Una volta completato, sono autorizzati a sparire via. La rappresentazione di Joyce delle stelle come maestosi serafini non fa che rendere ancora più malinconica ed originale la loro natura pallida ed effimera.

Nella sestina finale di “Nightpiece”, Joyce rivolge rivolge la sua attenzione al rumore “lungo e forte” creato da una campana che suona.

E a lungo e alto,
per la notturna navata che si estolle
battito di stelle rintocca,
mentre squallido incenso gonfia, nube su nube,
ai vuoti spazi dall’adorante
deserto d’anime.

Dato l’immaginario religioso della strofa precedente, sembrerebbe lecito supporre che Joyce si riferisca alla campana di una chiesa. Allo stesso tempo, l’origine del rumore ossessionante e preannunciante è attribuita alle stelle.

Ancora una volta, l’oratore equipara il cielo notturno all’interno di una chiesa in cui si riunisce tipicamente la congregazione. Questa volta, però, il “tetro incenso” sparso dai serafini “sale, nuvola su nuvola, verso il vuoto” e lo riempie abbondantemente. Disperdendosi oltre l’atmosfera terrestre e fino al cosmo scuro.

Negli ultimi due versi, Joyce sembra fare un bilancio desolante dell’umanità. L’autore concepisce un’ultima immagine che offrev il senso della poesia.

Mentre distoglie l’attenzione dall’immensa oscurità che riempie il cielo, sembra orientare la sua attenzione sull'”adorante deserto di anime”  che popola quella notte terrena.

Di fronte a cotanta spiritualità che il cielo riesce ad esprimere attraverso stelle che sono assimilabili ad angeli, l’indifferenza umana sembra prendere il sopravvento. 

Tutto ormai appare fatuo, inesistente, lontano, sparito. I fondamenti della società dell’epoca cominciano a mostrare i primi segnio di cedimento dalle certezze che esistevano nell’epocas precedente, rendendo l’interpretazione del vivere sempre più difficile da definire.

La grande crisi della modernità in questa poesia

James Joyce ci regala attraverso questa geniale poesia, il racconto della crisi della modernità che colpì il pensiero filosofico dei grandi autori dei primi del ‘900.

Il cambiamento impresso dalle nuove tecnologie, rivoluzionarono ogni aspetto della vita sociale, offrendo sempre più al materiale, la supremazia sullo spirituale. 

Anche le religioni ebbero il primo sussulto da questi enormi cambiamenti che intervenivano in tutti i settori.

L’umanità sembra non accorgersi più della spiritualità, per concentarsi solo sulla materialità. La fede, che sembra essere il vero argomento della poesia, diventa sempre più cieca di fronte all’immensità che può donare lo spirito. 

C’è da considerare che quando la poesia fu scritta, era il 1915 e gli uomini già si preparavano a massacrarsi in quella tremenda carneficina che fu la Prima Guerra Mondiale. 

Non solo la tecnologia iniziava ad entrare nel vissuto degli uomini, rendendo questi sempre più anime senza una direzione. 

La letteratura, l’arte iniziavano ad evidenziare questa crisi esistenziale che i grandi cambiamenti stavano provocando nell’esistenza umana. Questa poesia sembra esserne uno degli interpreti.

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