Sei qui: Home » Poesie » “Memoria” di Natalia Ginzburg, una poesia sul ricordo

“Memoria” di Natalia Ginzburg, una poesia sul ricordo

Tutta la meraviglia dei versi di "Memoria" la struggente poesia di Natalia Ginzburg dedicata al marito Leone e al grande e al suo ricordo.

Memoria è la poesia che Natalia Ginzburg dedicò al marito, Leone Ginzburg, ucciso il 5 febbraio 1944 per mano dei fascisti nel carcere romano di Regina Coeli. 

 Memoria, fu pubblicata nel dicembre del 1944 sulla rivista Mercurio.

Vogliamo proporre questa poesia in vista delle celebrazioni legate alla prossima  Giornata della Memoria, al fine di poter ricordare chi è morto per difendere la libertà e combattere la discriminazione. 

Ci sembra anche un modo per rendere omaggio ad ad un intellettuale, quale fu Leone Ginzburg, che della difesa dei diritti ne ha fatto motivo di sacrificio. 

Memoria è una poesia che va letta tutta d’un fiato. È un tributo a tutti coloro che hanno perso i loro cari per mano della follia assassina e della barbarie umana. 

La poesia rende omaggio non solo a chi non c’è più, ma pure ai familiari costretti a non dover più godere del piacere e della gioia dei loro cari. 

La memoria, infatti, appartiene soprattutto a chi vive, a chi ha subito la mancanza degli affetti e cerca di portarla sempre con sé. 

Memoria di Natalia Ginzburg

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibo e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.

E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada, nessuno ti è accanto,
se hai paura, nessuno ti prende la mano.

E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
e allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.

Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.

Significato della poesia

Natalia Ginzburg in Memoria parla in modo diretto ad un interlocutore indefinito, che poi è la stessa scrittrice. 

Il dialogo con il proprio io, all’inizio è rivolto al passato, come a voler rendere il ricordo più lontano. Ciò che è accaduto è difficile d’accettare.  

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibo e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.

Nei primi tre versi la scrittrice pone in luce la propria solitudine e la propria sofferenza. Nella scena di una quotidianità cittadina emerge l’indifferenza di quanti continuano a svolgere la propria routine, continuando a manifestare la loro vitalità inconsapevoli dei sentimenti dell’autrice.

Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.

Il ricordo prende vita nell’ultimo incontro di Natalia Ginzburg avuto con il marito ormai morto. Era quello di sempre, “solo una poco più stanco”. L’immagine ci riporta all’obitorio dove Leone è ormai privo di vita

La rappresentazione che la scrittrice propone lascia senza fiato.Tutto continua a vivere, ma lui non è più. La vita scorre e lui rimane solo nella memoria, in quell’istante in cui lei alza quel lenzuolo e lo scopre immobile, inerme, morto.

E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada, nessuno ti è accanto,
se hai paura, nessuno ti prende la mano.

In questa strofa inizia il racconto intertemporale dell’autrice. Nel racconto passa dal presente al passato, per dare spazio alla memoria e sottolineare l’eterno fluire del ricordo con la quotidianità della scrittrice. 

La vita continua e la solitudine e l’indifferenza prendono quota a chi è costretto a sopravvivere al ricordo.

Nessuno può condividere il suo stato d’animo e nessuno può prendersi cura di lei. Nessuno può offrire la dovuta protezione.  

E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
e allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.

In questa strofa emerge tutta la bellezza del poema. Tutto ciò che circonda l’autrice non fa parte ormai del suo presente. Appartiene agli altri, non può più essere parte della sua esistenza. 

Emerge il senso della mancanza di chi si trova costretto a vivere la separazione, il distacco, l’estremo addio. 

E di fronte a questa mancanza di presente, senza luce e senza vitalità, solo il ricordo dell’amato marito riesce a dare pace, serenità, conforto, compagnia, amore. 

Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.

I versi di chiusura della poesia sono pura magia. Il vuoto creato dalla morte sarà tale per sempre. Tutto non sarà più come prima. O meglio tutto si chiude, come quando in un film compare la parola fine. 

La storia tra Leone e Natalia Ginzburg

Leone Ginzburg era un grandissimo intellettuale di origine ebraica. Nacque ad Odessa il 4 aprile 1909 da Fëdor Nikolaevič e da Vera Griliches, in una famiglia ebrea, colta e agiata.

Presso la famiglia viveva dal 1902, come istitutrice, l’italiana Maria Segré, che insegnò ai ragazzi il francese e l’italiano; e fu proprio l’amicizia con la Segré a favorire l’inizio dei loro rapporti con l’Italia.

Nel 1914 con lo scoppio della Guerra, Leone Ginzburg fu lasciato dalla famiglia in Italia, dove venivamo quasi tuti gli anni per le vacanze.

Di fatto, da quell’anno l’Italia diventò la sua nuova casa.

Era amante della letteratura russa, che peraltro traduceva, e di quella francese.

L’interesse per quest’ultima lo portò nel 1932 a Parigi dove frequentò molti intellettuali in esilio, tra i quali Garosci, C. Rosselli, Gaetano Salvemini e anche Benedetto Croce. 

Il ritorno in Italia lo convinsero a militare nell’antifascismo torinese dando vita al Gruppo di Giustizia e Libertà.

Ne fecero parte, oltre al Monti, Carlo Levi, Barbara Allason, Mila, C. Mussa-Ivaldi, Michele Giua e il figlio Renzo. Più tardi si aggiunsero Foa, Mario Levi, Sion Segre, e vennero presi contatti con C. Muscetta e T. Fiore.

Il Matrimonio nel 1938

Nel 1938 si sposò con Natalia Levi, Natalia Ginzburg (Palermo il 14 luglio 1916).

Il padre era il celebre scienziato ebreo Giuseppe Levi e la madre è la milanese Lidia Tanzi.

Giuseppe Levi, oltre a essere un grande scienziato, era anche un professore universitario che condivideva gli ideali antifascisti. Per la loro opposizione al regime fascista, Giuseppe Levi e i suoi tre figli maschi, furono arrestati e processati.

Natalia quindi trascorre la sua infanzia in un’epoca difficile, caratterizzata dall’affermazione del regime fascista al potere.

La giovane cresce in un ambiente culturale e intellettuale antifascista e si abitua presto ai continui controlli della polizia fascista.

Leone aveva sette anni più di Natalia. Dal loro matrimonio nacquero Carlo, nel 1939, Andrea, nel 1940, entrambi a Torino, e Alessandra, nel 1943, all’Aquila.

I due avevano in comune tanti interessi, ma i principali erano la letteratura e la politica, una sorta di carburante che unisce i due giovani e li spinge alla resistenza con grande coraggio.

Lui studioso e consulente di Einaudi portò Natalia all’interno del mondo editoriale e fu così che la casa editrice torinese diventò per lei una seconda casa.

La vita di coppia e il lavoro funzionavano, l’amore era un crescendo, ma l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 complicò drammaticamente la storia.

A causa delle loro idee antifasciste, nel 1940 vennero mandati al confino a Pizzoli, in Abruzzo (prima Leone e successivamente fu raggiunto dalla moglie e i due figli).

Restarono lì per tre lunghi anni, nacque la loro terza figlia e nonostante la lontananza da casa e dagli amici, come Natalia Ginzburg scriverà nel racconto “Inverno in Abruzzo”, quello fu “il tempo migliore della mia vita”. Tuttavia, il periodo più nero doveva arrivare.

L’arresto di Leone Ginzburg

Il 20 novembre 1943, Leone Ginzburg fu arrestato nella redazione dell’Italia libera e condotto a Regina Coeli. Fu torturato e vessato per mesi. 

La mattina del 5 febbr. 1944 il G. fu trovato morto, nell’infermeria del carcere. 

Dopo aver lasciato Roma Natalia Ginzburg torna in Piemonte, dove inizia a lavorare per Einaudi.

In Piemonte la raggiungono anche i suoi genitori e i suoi figli che, nel periodo dell’occupazione nazista hanno trovato riparo in Toscana.

Nel 1947 scrive un nuovo romanzo, “E’ stato così”, in cui racconta i momenti difficili che ha dovuto affrontare sotto il regime di Mussolini.

Tre anni dopo sposa Gabriele Baldini, docente universitario di letteratura inglese e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura avente sede a Londra.

Dalla loro unione nascono due bambini, Susanna e Antonio, che purtroppo ben presto presentarono problemi di salute.

Con il marito e i figli si trasferisce a Roma dove continuò a dedicarsi all’attività letteraria, approfondendo in modo particolare il tema della memoria, legata alla sua terribile esperienza sotto il regime fascista, e quello della famiglia.

Natalia Ginzburg muore a Roma nelle prime ore dell’8 ottobre 1991.

© Riproduzione Riservata