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“Non possiamo saperlo” di Natalia Ginzburg, una poesia per rispondere alla paura dell’ignoto

Scopriamo "Non possiamo saperlo", la poesia che apre l'omonima opera di Natalia Ginzburg e racconta la vastità dell'ignoto che si apre intorno a noi.

“Non possiamo saperlo. Nessuno l’ha detto.
Forse là non c’è altro che una rete sfondata,
Quattro sedie spagliate e una vecchia ciabatta
Rosicchiata dai topi. C’è caso che Dio sia un topo
E che scappi a nascondersi appena arriviamo”.

Natalia Ginzburg è stata una delle autrici italiane più rappresentative del secolo scorso. Celebre soprattutto per la prosa, l’autrice ci ha regalato poesie di rara intensità che completano il senso di una produzione improntata alla ricerca di un equilibrio fra pubblico e privato, fra memoria e presente.

Scopriamo insieme “Non possiamo saperlo“, una poesia con cui Natalia Ginzburg riflette su uno dei temi esistenziali che più hanno influenzato l’essere umano sin dalla notte dei tempi: l’ignoto. Cosa c’è dopo di noi? Cosa c’è oltre a noi?

“Non possiamo saperlo”, una poesia esistenziale

Il suo “Lessico famigliare” ha riscosso un enorme successo di critica e di pubblico. La produzione letteraria, segnata dalla complicata e instabile situazione socio-politica del tempo e dalle origini della scrittrice, è pregna di memorie private e collettive, di emozioni, di racconti che rimangono incisi nel cuore dei lettori.

“Non possiamo saperlo” è un bellissimo componimento che apre l’omonima raccolta di saggi e ci racconta, in modo semplice ed immediato, della nostra limitatezza, di quante cose sconosciamo e di come l’ignoto circondi la nostra esistenza.

“Non possiamo saperlo” è un’accorata interrogazione che Natalia Ginzburg rivolge proprio a quest’entità sconosciuta che aleggia sopra, sotto, dentro e attorno a noi.

Non possiamo saperlo di Natalia Ginzburg

Non possiamo saperlo. Nessuno l’ha detto.
Forse là non c’è altro che una rete sfondata,
Quattro sedie spagliate e una vecchia ciabatta
Rosicchiata dai topi. C’è caso che Dio sia un topo
E che scappi a nascondersi appena arriviamo.
E c’è caso che invece sia la vecchia ciabatta
Rosicchiata e consunta. Non possiamo sapere.

Forse Dio ha paura di noi e scapperà, e a lungo
Noi dovremo chiamarlo e chiamarlo coi nomi più dolci
Per indurlo a tornare. Da un punto lontano
Della stanza lui ci fisserà immobile.

Forse Dio è piccolo come un granello di polvere,
E potremo vederlo soltanto col microscopio,
Minuscola ombra azzurra sul vetrino, minuscola
Ala nera perduta nella notte del microscopio,
E noi là in piedi, muti, sospesi a guardare.
Forse Dio è grande come il mare, e spumeggia e tuona.

Forse Dio è freddo come il vento d’inverno,
Forse ulula e romba come un rumore assordante,
E dovremo portare le mani alle orecchie,
Agghiacciati e tremanti, rimpiattendoci al suolo.
Non possiamo sapere com’è Dio. E di tutte le cose
Che vorremmo sapere, è la sola veramente essenziale.

Forse Dio è noioso, noioso come la pioggia,
E quel suo paradiso è una noia mortale.

Forse Dio ha gli occhiali neri, una sciarpa di seta,
Due volpini al guinzaglio. Forse ha le ghette,
Sta seduto in un angolo e non dice parola.
Forse ha i capelli tinti, ha una radio a transistor,
E si abbronza le gambe sul tetto d’un grattacielo.
Non possiamo sapere. Nessuno sa niente.
Forse appena arrivati ci manda allo spaccio
A comprargli del pane e salame ed un fiasco di vino.

Forse Dio è noioso, noioso come la pioggia
E quel suo paradiso è la solita musica,
Svolazzare di veli, di piume, di nuvole,
Un odore di gigli recisi, una noia di morte,
E ogni tanto una mezza parola per passare il tempo.
Forse Dio sono due, una coppia di sposi
Abbandonati al sonno ad un tavolo d’osteria.

Forse Dio non ha tempo. Ci dirà di andarcene
E tornare più tardi. Noi andremo a passeggio;
Siederemo su di una panchina a contare i treni che passano,
Le formiche, gli uccelli, le navi. A quell’alta finestra,
Dio s’affaccerà a guardare la notte e la strada.

Non possiamo sapere. Nessuno lo sa.
C’è anche caso che Dio abbia fame e ci tocchi sfamarlo,
Forse muore di fame, e ha freddo, e trema di febbre,
Sotto una coperta sudicia, piena di cimici,
E dovremo correre in cerca di latte e di legna,
E telefonare a un medico, e chissà se subito
Troveremo un telefono, e il gettone, e il numero,
Nella notte affollata, chissà se avremo abbastanza denaro.

Chi è Natalia Ginzburg

Natalia Ginzburg nasce a Palermo il 14 luglio 1916. Il padre è il celebre scienziato ebreo Giuseppe Levi e la madre è la milanese Lidia Tanzi. Il padre, oltre a essere un grande scienziato, è anche un professore universitario che condivide gli ideali antifascisti. Per la loro opposizione al regime fascista, Giuseppe Levi e i suoi tre figli maschi, vengono arrestati e processati.

L’autrice di “Non possiamo saperlo” quindi trascorre la sua infanzia in un’epoca difficile, caratterizzata dall’affermazione del regime fascista al potere. La giovane cresce in un ambiente culturale e intellettuale antifascista e si abitua presto ai continui controlli della polizia fascista.

Nel 1938 si unisce in matrimonio con l’intellettuale Leone Ginzburg. Dal loro matrimonio nascono tre figli: Andrea, Alessandra e Carlo. In questi anni stringe buoni rapporti d’amicizia con molti esponenti dell’antifascismo torinese e ha forti legami con la casa editrice piemontese Einaudi.

Due anni dopo, il marito viene condannato all’esilio per motivi politici e razziali. Natalia Ginzburg e i figli lo seguono a Pizzoli, in Abruzzo. Il loro trasferimento forzato finisce nel 1943. L’anno dopo Leone Ginzburg viene nuovamente arrestato per editoria clandestina e imprigionato nel carcere romano di Regina Coeli.

Dopo aver subito continue e atroci torture, Leone muore nello stesso anno. Questo evento drammatico è molto doloroso.

Dopo aver lasciato Roma Natalia Ginzburg torna in Piemonte, dove inizia a lavorare per Einaudi. In Piemonte la raggiungono anche i suoi genitori e i suoi figli che, nel periodo dell’occupazione nazista hanno trovato riparo in Toscana. Nel 1947 scrive un nuovo romanzo, “E’ stato così”, in cui racconta i momenti difficili che ha dovuto affrontare sotto il regime di Mussolini.

Tre anni dopo sposa Gabriele Baldini, docente universitario di letteratura inglese e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura avente sede a Londra.

Dalla loro unione nascono due bambini, Susanna e Antonio, che purtroppo ben presto presentano problemi di salute. Con il marito e i figli si trasferisce a Roma dove continua a dedicarsi all’attività letteraria, approfondendo in modo particolare il tema della memoria, legata alla sua terribile esperienza sotto il regime fascista, e quello della famiglia.

Natalia Ginzburg muore a Roma nelle prime ore dell’8 ottobre 1991.

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