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“La speranza di pur rivederti” di Eugenio Montale

Scopri i versi de "La speranza di pur rivederti" poesia di Eugenio Montale sul ricordo di un amore andato via per sempre.

La speranza di pur rivederti è una poesia di Eugenio Montale che mette in scena la separazione amorosa e la fine di ogni speranza di poter nuovamente incontrare la persona amata.

Un’esperienza vissuta da tantissime coppie, per le quali la vita ha deciso di non destinare un cammino comune. Per Eugenio Montale fu così, la sua Clizia, all’anagrafe Irma Brandeis, l’amore della sua vita, dovette lasciare l’Italia per tornare nel 1938 negli Stati Uniti, a causa delle leggi razziali contro gli ebrei.

L’ultima lettera di Irma in possesso degli studiosi esprimeva il suo sentimento e il suo disappunto: “Purtroppo, io ti amo. Ogni cosa che fai per farti del male, la fai anche a me. Non posso sopportare questa nostra vita dolente e poco eroica, ridicola quasi, ma vedo che ormai è troppo tardi per porvi rimedio. (EUGENIO MONTALE, Lettere a Clizia, a cura di Rosanna Bettarini, Gloria Manghetti e Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2006)

Montale idealizza poeticamente la figura di Irma, chiamata nelle liriche con il nome di Clizia. L’americana è percepita dal poeta come una “donna angelo” capace di ridare senso alla sua vita e di permettergli il confronto con i suoi drammi esistenziali.

La speranza di pur rivederti è contenuta ne ne la sezione Mottetti de Le Occasioni  raccolta di poesie del 1939 dedicate alla sua musa, al suo amore ormai andato via.

Ma leggiamo questa splendida poesia.

La speranza di pur rivederti di Eugenio Montale

La speranza di pur rivederti
m’abbandonava;

e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d’immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:
(a Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
 due sciacalli al guinzaglio).

Il significato della poesia lo spiega lo stesso Eugenio Montale

La speranza di pur rivederti esordisce con la disperazione di Eugenio Montale. Clizia non tornerà mai più e la sua voglia di raggiungerla negli Stati Uniti viene frenata dalla sua relazione con Drusilla Tanzi (con cui il poeta si sarebbe poi sposato negli anni ’60), la fece l’impossibile per bloccare il rapporto tra Montale e Irma Brandeis.

Un inizio poetico disperato che prende forma durante una passeggiata in un pomeriggio d’estate a Modena tra i portici, dove Montale si trovava. Il contesto della poesia è reso manifesto dagli ultimi tre versi della lirica. 

Fu lo stesso Montale a dare spiegazione del luogo dove si trovava, in un commento pubblicato sul Corriere della sera del 16 febbraio 1950 e che è possibile leggere in Sulla poesia (Mondadori, 1976) di Eugenio Montale. 

Lo stesso autore offrì il significato e l’origine di La speranza di pure rivederti.

Il poeta in questo articolo racconta che, sotto il nome di Mirco, racconta proprio della passeggiata tra i portici di Modena:

Un pomeriggio d’estate Mirco si trovava a Modena e passeggiava sotto i portici. Angosciato com’era e sempre assorto nel suo pensiero dominante, stupiva che la vita gli presentasse come dipinte o riflettesse su uno schermo tante distrazioni. Era un giorno troppo gaio per un uomo non gaio.

Ed ecco apparire a Mirco un vecchio in divisa gallonata che trascinava con una catenella due riluttanti cuccioli color sciampagna, due cagniuoli che a una prima occhiata non parevano né lupetti, né bassotti, né volpini. Mirco si avvicinò al vecchio e gli chiese: Che cani sono questi? E il vecchio secco e orgoglioso: Non sono cani, sono sciacalli. (Così pronunciò da buon settentrionale incolto; e scantonò poi con la sua pariglia). 

Clizia amava gli animali buffi. Come si sarebbe divertita a vederli! Pensò Mirco. E da quel giorno non lesse il nome di Modena senza associare quella città all’idea di Clizia e dei due sciacalli. Strana, persistente idea. Che le due bestiole fossero inviate da lei, quasi per emanazione? Che fossero un emblema, una citazione occulta, un senhal? O forse erano solo un’allucinazione, i segni premonitori della sua decadenza, della sua fine?

Fatti consimili si ripeterono spesso; non apparvero più sciacalli ma altri strani prodotti della boîte à surprise (scatola a sorpresa) della vita: cani barboni, scimmie, civette sul trespolo, menestrelli, … E sempre sul vivo della piaga scendeva il lenimento di un balsamo.

Una sera Mirco si trovò alcuni versi in testa, prese una matita e un biglietto del tranvai (l’unica carta che avesse nel taschino) e scrisse queste righe: La speranza di pure rivederti – m’abbandonava; – e mi chiesi se questo che mi chiude – ogni senso di te, schermo d’immagini, – ha i segni della morte o dal passato – è in esso, ma distorto e fatto labile, – un tuo barbaglio.

S’arrestò, cancellò il punto fermo e lo sostituì con due punti perché sentiva che occorreva un esempio che fosse anche una conclusione. E terminò così: “(a Modena fra i portici, – un servo gallonato trascinava – due sciacalli al guinzaglio)”. Dove la parentesi voleva isolare l’esempio e suggerire un tono di voce diverso, lo stupore di un ricordi intimo e lontano.

 Ho toccato un punto (un punto solo) del problema dell’oscurità o dell’apparente oscurità di certa arte d’oggi: quella che nasce da un’estrema concentrazione e da una confidenza forse eccessiva nella materia trattata.

Il ricordo unisce per sempre

La speranza di pur rivederti in un instante sembra raccontare un intero film. La mancanza di una persona amata che non possiamo più incontrare può far impazzire. Quando la speranza finisce può subentrare l’angoscia, la sofferenza, l’infelicità. 

Il ricordo può diventare il nemico, perché fa emergere proprio la mancanza. Molte volte è la memoria che dovrebbe essere azzerata per non vivere la lontananza. 

Ma, come possiamo leggere dalle righe di Eugenio Montale, il ricordo può anche offrire sensazioni che rendono presente chi ci manca.

Come “gli sciacalli” portati a passeggio, addomesticati, anche i ricordi dovrebbero essere domati. Dovrebbero diventare un momento d’unione che fa svanire via qualsiasi distanza. 

L’amore può vivere per sempre e diventare motivo di gioia, anche se realmente non esiste più.

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