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“La Befana”, la poesia di Giovanni Pascoli per il 6 gennaio

“La Befana” di Giovanni Pascoli è una lunga poesia che racconta la figura di una Befana decisamente diversa rispetto a tante altre poesie e filastrocche

Con la poesia La Befana di Giovanni Pascoli la magica streghetta sulla scopa assume un ruolo diverso. Diventa la spettatrice di un mondo da raccontare e magari cambiare. Tutti gli anni si ripetono le stesse immagini.

La realtà vista dalla scopa

La Befana pascoliana è una spettatrice, nel suo viaggio osserva le case, i casolari, le mamme, i bambini, i doni. È l’inerme testimone di un momento da ricordare e da raccontare. Ci sono i protagonisti veri della festa ovvero i bimbi, ma soprattutto quella figura materna tanto cara al poeta.

In questa poesia Giovanni Pascoli racconta come la Befana vede il mondo dall’alto dei suoi viaggi. Questa befana non è portatrice di doni o carbone..

La strana vecchietta con il naso da strega si accorge tristemente come, ogni volta che passa, non cambi mai niente.

Pascoli poi per dimostrare l’affermazione mette a confronto due realtà opposte, una mamma benestante che riempie le calze dei propri figli e una mamma povera che piange perché non è riuscita a regalare nulla ai suoi bambini nonostante siano stati buoni.

La Befana, dunque, assiste inerme a questo triste spettacolo che ogni anno si ripete. E questa, purtroppo, è anche la realtà che incontriamo anche oggi.

Questa, quindi, non è una filastrocca per bambini, ma un presa di coscienza per gli adulti.

Da un punto di vista tecnico segnaliamo l’utilizzo del pentastico, ovvero la strofa di cinque versi, che si vede molto di rado.

 in ognuna delle 13 strofe, il primo e l’ultimo verso sono sempre caratterizzati dalla rima identica, ovvero terminano con la stessa parola.

Spesso questa identità è estesa a tutto l’ultimo verso, che viene interamente ripetuto – accentuando ulteriormente il ritmo cadenzato e melodioso della poesia, composta quasi solo da ottonari come la più classica delle filastrocche.

“La Befana” di Giovanni Pascoli

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccìo leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolano le scale:
il lumino brilla e sale,
e ne palpitano le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?

Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampana di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.

E che c’è nel casolare?
un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le ceneri e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange, c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.

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La frase di Pascoli che ci insegna la magia delle piccole cose

Il pensiero di Giovanni Pascoli tratto da “Il fanciullino” per imparare a cogliere la bellezza dei dettagli e avere una vita più piena

 

 

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Dai sette ai dodici anni studiò nel collegio “Raffaello”, che dovette lasciare in seguito alla morte del padre, ucciso da sconosciuti mentre tornava dalla fiera di Cesena.

Si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna dove si laureò e subito iniziò la carriera d’insegnante di latino e greco. Negli anni universitari Pascoli subisce il fascino dell’ideologia socialista di Andrea Costa.

Partecipa a manifestazioni contro il governo, viene arrestato nel ’79 e si trova a dover trascorrere alcuni mesi in carcere. Insegnò per varie Università, finché nel 1905 ottenne a Bologna la cattedra di Letteratura italiana. Morì a Bologna nel 1912.

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