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Inno di Mameli, analisi e significato dell’inno nazionale italiano

L'inno realizzato da Goffredo Mameli, composto nell’agosto del 1847, rappresenta un invito a una resurrezione morale dell’Italia

Stasera l’Inno di Mameli risuonerà allo Stadio di Wembley, e immaginiamo in tutte le case italiane, prima dell’inizio della finale del Campionato Europeo di Calcio Euro 2020 tra Inghilterra e Italia. Cantato sui balconi durante il lockdown o dai calciatori e dai tifosi allo stadio, l’Inno di Mameli è capace di unire il popolo italiano in qualsiasi circostanza: ed è per questo che, stasera, l’inno italiano risuonerà per risentirsi di nuovo tutti uniti, non più per scongiurare un pericolo, ma stavolta per tifare tutti insieme verso un risultato che avrebbe un valore capace di andare oltre il mero risultato sportivo. Scopriamo meglio storia e significato dell’inno degli italiani.

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L’Inno di Mameli

L’Inno di Mameli conosciuto come “Fratelli d’Italia” nacque nell’agosto del 1847, quando il suo autore – il giovane poeta e patriota genovese Goffredo Mameli – ebbe l’idea di un canto che manifestasse il tumulto di passioni che agitavano gli italiani. L’inno fu musicato dal maestro genovese Michele Novaro ed ebbe il battesimo ufficiale nel marzo 1848 con l’insurrezione di Milano.

L’anno successivo accompagnò la difesa di Roma, quando i francesi furono respinti al Gianicolo. Nonostante l’ardore patriottico, fu criticato da molti sia per l’eccessiva retorica sia per la melodia. Garibaldi gli preferiva la `Marsigliese degli italiani´ e Puccini sosteneva che fra Novaro e la musica c’era un divario incolmabile.

Poesia risorgimentale tra passato e presente

Oggi – a distanza di più di un secolo e mezzo – la poesia risorgimentale rischia di apparire una manifestazione artistica troppo legata al proprio tempo. Non riusciamo più a sentirla contemporanea e consentanea alla sensibilità di noi uomini che viviamo in un mondo globalizzato, e che condividiamo un orizzonte culturale e valoriale distante anni luce da quello dei nostri progenitori.

Nel 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità di Italia – il nostro Risorgimento è stato oggetto di una riscoperta mediatica. I protagonisti di quell’epopea sono tornati sotto i riflettori e si sono riaccesi i dibattiti intorno alla vexata quaestio del Risorgimento tradito ( in sintesi: un certo revisionismo storiografico ha rintracciato – al di là delle proiezioni mitografiche e agiografiche – una storia di violenza e sopraffazione della Monarchia Sabauda ai danni del regno borbonico).

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Goffredo Mameli

Goffredo Mameli (considerato il cantore della prima e più autentica stagione risorgimentale) era nato a Genova il 5 settembre 1827. Animato da sentimenti liberali e repubblicani, aveva composto l’ Inno nel 1847, alla viglia della prima guerra di indipendenza. Nel marzo del 1848 fu tra gli organizzatori di una spedizione di trecento volontari per andare in aiuto a Nino Bixio durante le Cinque giornate di Milano.

In virtù di questa impresa, fu arruolato nell’esercito garibaldino con il grado di capitano. Durante l’ assedio di Roma – l’ultimo atto della breve Repubblica romana del 1849 – divenne aiutante di Garibaldi, battendosi eroicamente a Palestrina (9 maggio) e a Velletri (19 maggio). Fu ferito alla gamba nella difesa della Villa del Vascello sul colle del Gianicolo. Morì d’infezione il 6 luglio a soli ventidue anni. Riposa nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.

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L’Inno di Mameli

Un commento integrale dell’Inno di Mameli richiederebbe troppo spazio. Mi limiterò a illustrare velocemente le prime due strofe:

«Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa
Dov’è la Vittoria?!
Le porga la chioma
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.»

Il componimento è aperto da una solenne e appassionata apostrofe agli Italiani, invitati a ritrovare uno spirito di fratellanza al di là delle differenze culturali che rendono il nostro paese un mosaico di civiltà, di lingue e dialetti così eterogeneo e unico in tutto il pianeta. Il richiamo a Scipione l’Africano, il generale romano che nel 202 a.c. sconfisse Annibale al termine della seconda guerra punica, è un’esaltazione del glorioso passato dell’Italia, erede di Roma, la signora del mondo. L’Impero romano fu talmente abituato a inanellare successi militari sempre più grandiosi che la Vittoria – personificata – venne considerata la schiava di quella grande potenza mondiale. Era cioè assolutamente naturale che ogni progetto di conquista avesse un esito positivo. Più interessante e ricco di armoniche Il tema della fratellanza, con il quale l’Inno esordisce. Questo tema avrà grande fortuna nella poesia italiana del secolo successivo.

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Per Giuseppe Ungaretti – anch’egli poeta soldato asserragliato nelle trincee del Carso – la guerra impone una meditazione sulla precarietà della nostra esistenza. Quello che accomuna gli uomini e li fa scoprire fratelli ( Di che reggimento siete / fratelli ? ) è proprio la consapevolezza della nostra creaturalità inerme. Siamo appesi alla vita come le foglie ai rami ( Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie )..

L’orgoglio di un popolo

Nella seconda strofa dell’Inno di Mameli, l’autore pone l’accento sull’orgoglio di un popolo che tenta di emanciparsi da una plurisecolare storia di sottomissione al piede straniero. Questo popolo sbandato e frazionato in tante realtà diverse ( Manzoni parlava del vulgo disperso che nome non ha ) deve mettere al bando la viltà e raccogliersi intorno a una bandiera, simbolo di una comunità da ricostruire e da difendere.

«Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam Popolo,
Perché siam divisi
Raccolgaci un’Unica
Bandiera, una Speme
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò»

Questo riferimento alla bandiera merita un breve approfondimento. Nell’articolo 12 della Costituzione leggiamo che « La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. ». Perché questi colori? Un riferimento alla bandiera francese? Forse.

I colori della bandiera italiana

In questo passo Giosuè Carducci propone una riflessione interessantissima:

«E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’ anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi, E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà».

I tre colori simboleggiano dunque le tre virtù teologali. Carducci aveva sicuramente presente uno dei momenti più importanti della Commedia dantesca, ossia il canto XXX del Purgatorio, dedicato al ritorno di Beatrice. La ragazza fiorentina amata da Dante e destinata ad accompagnarlo nella più divina storia d’Amore di ogni tempo entra in scena – nel palcoscenico della sua poesia – vestita di bianco, verde e rosso.
Ecco la citazione precisa ( Pg XXXI, vv. 31-33 ):

sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.

Recentemente alcuni studiosi hanno ripreso la teoria secondo cui dietro alla scelta dei colori della bandiera italiana ci sarebbe un riferimento a questo luogo altissimo del poema di Dante, il quale in età risorgimentale assurge a padre della patria. Dante è colui che aveva tuonato contro le lotte fratricide che insanguinavano la penisola. Nei suoi versi continuamente esprimeva il rammarico di vedere un’Italia divisa, indegna di sé stessa.

Tutti ricorderete alcune sue celebri invettive:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di provincie, ma bordello!

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L’influenza dantesca

Nell’Inno di Mameli c’è una vena dantesca, che si esprime in questa appassionata esortazione ad un risveglio culturale del paese ( L’Italia s’è desta).

L’ invito a una resurrezione morale dell’Italia è un tema che torna con una certa frequenza nel corso dei secoli. L’archetipo è Dante, al quale segue il Petrarca delle grandi canzoni politiche (la più celebre è Italia mia, benché il parlar sia indarno).

A questi modelli si riallaccerà con veemenza Niccolò Machiavelli alla fine del Principe, dove risuona l’auspicio di una liberazione del paese dai barbari.

L’età romantica erediterà e darà nuova linfa a queste tensioni morali. Giacomo Leopardi scriverà la Canzone All’Italia, nella quale denuncia le meschinità e lo squallore di un popolo indegno del proprio passato eroico. Nel Novecento toccherà soprattutto ai cantautori rilanciare questi temi patriottici, che rischiavano di assumere connotati di obsolescenza.

Il sentimento di unità nazionale

Francesco De Gregori con Viva l’Italia ha contribuito a rigenerare quel sentimento di unità nazionale che l’Inno di Mameli ha acceso nella gente «del bel paese là dove il sì suona». 

Viva l’Italia
L’Italia liberata
L’Italia del valzer e l’Italia del caffè
L’Italia derubata e colpita al cuore
Viva l’Italia
L’Italia che non muore
Viva l’Italia presa a tradimento
L’Italia assassinata dai giornali e dal cemento
L’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura
Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura

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