Sei qui: Home » Poesie » Edoardo Sanguineti, le 5 poesie più belle

Edoardo Sanguineti, le 5 poesie più belle

Scopri alcune poesie di Edoardo Sanguineti uno dei più grandi autori della letteratura italiana contemporanea

Il 9 dicembre del 1930 nasceva Edoardo Sanguineti uno dei protagonisti delle neoavanguardie del secondo Novecento. Noi lo vogliamo ricordare con una scelta di poesie di grande spessore, che rendono il senso del pensiero dell’autore.

Poeta, drammaturgo, critico letterario, traduttore e saggista, è stato tra i membri fondatori del Gruppo 63 e professore di Letteratura italiana nella facoltà di Lettere delle Università di Torino, Salerno e Genova.

Coscienza critica del nostro tempo, artificiere del linguaggio e formidabile poeta della provocazione e del gioco, è stato anche attivo nella vita politica locale e nazionale.

Il 18 maggio 2010 fu ricoverato d’urgenza a causa di un aneurisma che provocava da diversi giorni fitte all’addome.

Alle 13:30 Edoardo Sanguineti morì a Genova, all’età di 79 anni, ancora in sala operatoria. La procura aprì un’inchiesta per omicidio colposo a carico di ignoti.

La poetica di Edoardo Sanguineti 

Edoardo Sanguineti è un ivoluzionario della lingua. Le sue poesie fin dagli anni ’50 provocarono un forte shock nel panorama poetico italiano.

Il suo percorso poetico fu infatti influenzato dal neorealismo e dall’ermetismo montaliano.

Edoardo Sanguineti riprendeva e rielaborava le tematiche delle avanguardie storiche del primo Novecento col fine di “distruggere” il modello imperante della poesia borghese.

Era in grado di scomporre linguaggio e verso rinunciando a tutte le regole metriche e a quelle sintattiche.

In altre parole, la sua originalità consisteva nel sabotare le forme letterarie tradizionali al fine di farne esplodere le contraddizioni.

Questo per mostrare l’incapacità del vecchio linguaggio poetico di rappresentare e definire i confini della mutata realtà sociale.

La poesia di Edoardo Sanguineti  attraverso versi assemblati in modo asintattico, fa incrociare lingue diverse, latino compreso, e mix di generi. Nella sua idea c’è il dare forma al caos, quale fine per generare un pensiero in grado di scardinare le convinzioni borghesi.

I Libri di poesie di Sanguinetti

Tra i suoi libri di poesia ricordiamo Laborintus (1956), Triperuno (1964), WirrWarr (1972), Postkarten (1978), Stracciafoglio (1980).

Ha curato, inoltre, l’antologia Poesia del novecento (Einaudi, 1969). Ha tradotto il Satyricon di Petronio e, per la scena, testi di Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Seneca, Molière e Brecht.

Nei testi teatrali Teatro (1969), Storie naturali (1971), Faust. Un travestimento (1985) e Dialogo (1991) prevalgono un sistema ludico di smontaggio delle tradizionali forme narrative e una volontà di recupero del linguaggio “basso”.

5 poesie di Edoardo Sanguineti

Siamo tutti politici (e animali) 

Siamo tutti politici (e animali):
premesso questo, posso dirti che
odio i politici odiosi: (e ti risparmio anche soltanto un parco abbozzo di catalogo
esemplificativo e ragionato): (puoi sceglierti da te cognomi e nomi, e sparare
nel mucchio): (e sceglierti i perché, caso per caso)
ma, per semplificare, ti aggiungo che, se è vero che,
per me (come dico e ridico) è politica tutto,
a questo mondo, non è poi tutto, invece, la politica: (e questo mi definisce,
sempre per me, i politici odiosi, e il mio perché:
amo, così, quella grande politica
che è viva nei gesti della vita quotidiana, nelle parole quotidiane
(come ciao, pane, fica, grazie mille): (come quelle che ti trovi graffite dentro i cessi,
spraiate sopra i muri, tra uno slogan e un altro, abbasso, viva):
(e poi, lo so che non si dice, ma, alla fine, mi sono odiosi e uomini e animali)

Occhiali

Mi sono riadattato agli occhiali (che la patente, a me, rende obbligati, ormai,
in un paio solo di giorni: vedo tutto più netto: (ma niente mi è, per questo,
diventato migliore, in verità: un semaforo è sempre un semaforo, un marciapiede
è un marciapiede: e io sono sempre io, così)
(quanto al doloroso senso di capogiro,
vaticinato, con l’emicrania, da un Istituto Ottico di corso Buenos Aires, al quale
mi sono rivolto, questa volta, l’ho sperimentato e l’ho superato): (l’oculista
affermava che, con il tempo, io mi ero costruito una mia rappresentazione arbitraria
della realtà, adesso destinata, con le lenti, a sfasciarsi di colpo):
e ho potuto
sperare, per un attimo, di potermi rifare, a poco prezzo, una vita e una vista)

Se d’amore si muore, siamo morti noi

se d’amore si muore, siamo morti noi:
siamo un romanzo d’appendice in atto: (anzi,
siamo un romanzo nazional-popolare, ma calibraticamente camuffato da romanzetto rosa): (anzi,
siamo un romanzo osè): (un rosè): (anzi, una coppia di vegeti, di vegetanti vecchietti,
torchiati nel torpido torchio delle nozze d’argento): (a un passo, a un pelo, appena,
da un romanzo nero): (siamo un romanzo rosso, quasi): e noi facciamo, parliamoci chiaro,
pena piena, e pietà

comunico le coordinate necessarie; torno da Como, è il 26
settembre, sono le 21,37, ho chiesto il conto al ristorante, prenderò il rapido
delle 21,50, e ti ho capito: è tutto:

perché, per te, per me, non è possibile
sopportarla più oltre, questa ambivalenza insolubile, nel vino della vita che viviamo:

questa vita, anzi: (la vita): (annacquata, innacquata): e se ti dico e se ti scrivo che
non sono altro che un contemporaneo, a capirmi, a capirci, se va bene, abbiamo, in tutto
e per tutto, il 25% dei nostri eredi naturali, allo stato attuale delle cose:
così, con tanti auguri, ti aggiungo, poi, che noi

se d’amore si vive, siamo vivi.

Ballata delle donne

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

Afferra questo mercurio

afferra questo mercurio, questa fredda gengiva, questo miele,
questa sfera di vetro arido;
misura attentamente la testa del nostro bambino
e non torcere adesso il suo piede impercettibile:
nel tuo capezzolo devi ormai convertire
un prolungato continente di lampade,
il fiato ossessivo dei giardini
critici, le pigre balene del ventre, le ortiche
e il vino, e la nausea e la ruggine;
perché ogni strada subito
vorrà corrergli incontro, un’ernia ombelicale incidere
il suo profilo di fumo, qualche ippopotamo donargli
i suoi denti di forfora e di fosforo nero:
evita il vento,
i luoghi affollati, i giocolieri, gli insetti;
e a sei mesi egli potrà raddoppiare il suo peso, vedere l’oca,
stringere la vestaglia, assistere alla caduta dei gravi;
strappalo dunque alla sua vita di alghe e di globuli, di piccoli nodi,
di indecisi lobi:
il suo gemito conquisterà le tue liquide ferite
e i suoi occhi di obliquo burro correggeranno questi secoli senza nome!

© Riproduzione Riservata

© Riproduzione Riservata