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“Città vecchia” di Umberto Saba, un inno all’umiltà e alla vita semplice

Ritrovare l'infinito nell'umiltà. Così Umberto Saba descrive il suo stato d'animo quando si reca nelle vie della città vecchia di Trieste.

Ci sono poesie che, sin da quando le studiamo a scuola, restano nel cuore. “Città vecchia” di Umberto Saba è una di queste.

Con la semplicità che è il segno distintivo dello stile dell’autore triestino, questo componimento vuole essere una dichiarazione di intenti, ma anche un inno alla semplicità e, soprattutto, all’umiltà che spesso non trova spazio nel verso.

“Città vecchia” di Umberto Saba

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore.
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

L’infinitò nell’umiltà

“[…] Io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà”.

Come emozionano questi versi di Umberto Saba… In “Città vecchia”, l’amore nei confronti della città natìa di Trieste, la purezza della semplicità e la spiritualità si mescolano creando una profonda riflessione sul senso della vita e sul ruolo del poeta. Saba si sente distante da quel mondo che va a ricercare districandosi per le vie della città vecchia di Trieste.

Soltanto contemplando i volti e le azioni dei più umili riesce ad entrare in profonda comunione con la verità che si cela dietro alle cose. Perché:

“Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via”.

Umberto Saba

Umberto Saba è lo pseudonimo di Umberto Poli, nato nel 1883 a Trieste. Di origini ebraiche per parte di madre, il piccolo Umberto Saba viene accudito nei primi anni di vita da Peppa, una balia slovena cattolica a cui lui resterà per sempre legato.

Quando la madre lo riprende con sé e lo allontana da Peppa, Umberto subisce un trauma che in seguito racconterà nelle sue poesie. Dopo aver trascorso alcuni anni a Padova da parenti, il giovane ritorna a Trieste e vive con la madre e le zie, in totale assenza di una figura maschile, poiché il padre aveva abbandonato la famiglia prima della nascita dello stesso Umberto Saba.

Il periodo dell’adolescenza è segnato dalla malinconia e dallo studio dei classici della letteratura. Nel 1903 si trasferisce a Pisa per frequentare alcuni corsi dell’università; inizia con le lezioni di letteratura italiana, ma ben presto li lascia per seguire quelli di archeologia, tedesco e latino. In questo periodo, viene colto per la prima volta da un attacco di nevrastenia.

Saba vive a Firenze, si trasferisce a Salerno per il servizio militare e infine, nel 1908, torna a Trieste, dove sposa con rito ebraico Carolina Wölfler, l’amata Lina celebrata nei suoi versi. L’anno seguente nasce Linuccia. Nel 1911 pubblica sotto pseudonimo la sua prima raccolta. Comincia per lui la carriera di poeta. Vincitore di numerosi premi, Saba non abbandonerà mai la passione per la scrittura, neanche dopo aver assistito agli orrori del XX secolo.

Nel Dopoguerra, si avvicina a Carlo Levi ed Eugenio Montale, amici a cui resterà legato fino alla morte, avvenuta nel 1957 a Gorizia, nella clinica in cui si era fatto ricoverare sperando di mitigare gli attacchi nervosi da cui era affetto.

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