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La celebrazione dell’amore ne “La ballata delle rose” di Angelo Poliziano

Angelo Poliziano è stato uno dei più grandi poeti italiani del XV secolo. Lo ricordiamo attraverso la sua opera più celebre, la “Ballata delle rose”.

Nasceva il 14 luglio del 1454 a Montepulciano Angelo Poliziano, il cui pseudonimo deriva proprio dal paese d’origine. Al secolo, infatti, si chiamava Angelo Ambrogini. Angelo Poliziano è stato fra i poeti più importanti del XV secolo, membro e perno del circolo letterario che ruotava attorno a Lorenzo il Magnifico, il Signore di Firenze.

Il grande autore, che ha scritto opere in volgare, latino e perfino greco, è apprezzato soprattutto per il meticoloso labor limae che caratterizza i suoi versi e per l’impegnativo studio filologico che traspare dai suoi lavori.

Angelo Poliziano è autore de “La ballata delle rose”, una delle sue opere più famose e amate con cui il poeta celebra l’amore e invita il lettore a godere delle piccole gioie quotidiane, una sorta di Carpe diem, in cui l’io lirico è rappresentato da una gaia voce femminile. Leggiamo insieme il componimento.

La ballata delle rose di Angelo Poliziano

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d’intorno violette e gigli
fra l’erba verde, e vaghi fior novelli
azzurri gialli candidi e vermigli:
ond’io porsi la mano a còr di quelli
per adornar e’ mie’ biondi capelli
e cinger di grillanda el vago crino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose, e non pur d’un colore;
io corsi allor per empir tutto el grembo,
perch’era sì soave il loro odore
che tutto mi senti’ destar el core
di dolce voglia e d’un piacer divino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

I’ posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre’ dir quant’ eran belle:
quale scoppiava della boccia ancora;
qual’ erano un po’ passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: -Va’, cò’ di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino.-

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Quando la rosa ogni suo’ foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a mettere in ghirlande,
prima che sua bellezza sia fuggita:
sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Un invito ad amare e a valorizzare ogni istante della nostra vita

La “Ballata delle rose” di Angelo Poliziano è una bellissima testimonianza della letteratura italiana del XV secolo. In essa, si condensano alcuni fra i temi più frequentati dagli autori dell’epoca, e traspaiono idee e messaggi che ancora oggi conducono ad una riflessione.

Addentriamoci un po’ più dettagliatamente nel testo. Si tratta di una ballata, forma di poesia popolare caratterizzata da un ritmo armonioso e coinvolgente. Ciò che rende unica, tuttavia, quest’opera di Angelo Poliziano è la capacità dell’autore di rendere una forma di poesia popolare tanto raffinata ed elegante.

La protagonista del componimento è una fanciulla, che nelle prime strofe racconta di esser stata in un giardino ricco di fiori e piante in primavera. Il giardino è una vera e propria rappresentazione del locus amoenus, tanto caro alla tradizione classica. È un luogo che sembra un paradiso, e che pertanto non presenta la benché minima traccia di deterioramento, caducità o malvagità.

In un luogo tanto meraviglioso, nella fanciulla comincia a farsi strada la curiosità. Così, nella ballata di Angelo Poliziano, non è solo la vista il senso privilegiato. Profumi, consistenze, colori si mescolano nella descrizione del giardino, per poi lasciare spazio alla terza strofa, in cui ha inizio la riflessione del poeta sull’amore e sulle gioie della vita, che viene sviluppata attraverso la metafora delle rose, da cui infatti il componimento prende il nome.

Infine, l’ultima strofa, racchiude una malinconica considerazione circa la caducità delle rose e di ciò che esse rappresentano nel loro significato più recondito. Una sorta di Carpe diem, perché, in fondo, c’è sempre un tempo limitato per cogliere i fiori del nostro giardino. Sarebbe un peccato non approfittarne.

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