Rivnedicare il prestigio della lingua italiana, ambasciatrice di valori e tradizione da non dimenticare, ma da tramandare. Quella italiana è “una cultura profonda che passa anche dalla nostra lingua che è uno straordinario diplomatico della nostra cultura. E invece mi accorgo come tutti, anche io che sono patriota, veniamo travolti dall’uso di parole straniere quando per ciascuna di queste parole in italiano esisterebbero 4-5 parole diverse”. Lo ha affermato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo alla XV Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori.
Perché parlare il più possibile la lingua italiana
La presidente del Consiglio ha colto l’occasione per sottolineare come oggi, nel linguaggio parlato e scritto, utilizziamo sempre più parole straniere, i francesismi, gli inglesismi, quando nel corrispettivo italiano esisterebbero probabilmente almeno quattro o cinque parole diverse, perché “la nostra è una lingua molto più complessa e una lingua molto più carica di sfumature”. L’invito del premier italiano è quello quindi di “utilizzare per noi il più possibile l’italiano e questo lo faccio come richiamo a me stessa prima ancora che a tutti gli altri”, perché parlare la lingua italiana “non solo vuol dire valorizzare e difendere un elemento culturale ma anche la profondità della nostra cultura, significa guardare il mondo con una lente con sfumature molto colorate”.

50 parole straniere che potremmo benissimo dire in italiano
Siamo ormai abituati a usare parole straniere in ogni circostanza, ma non sempre è necessario. Eccone 50 che potremmo benissimo dire in italiano
L’uso di parole straniere che potremmo evitare
Nel linguaggio comune imperversano neologismi e termini stranieri che man mano stanno sopravanzando nella frequenza d’utilizzo i corrispettivi vocaboli italiani. Se alcune parole come “marketing”, “sport”, “rock”, “browser”, “smog” non trovano un corrispondente efficace nella nostra lingua, ci sono altri termini come ‘workshop’, ‘abstract’, ‘fashion’, ‘light’ di cui potremmo far benissimo a meno, utilizzando i loro corrispettivi italiani ‘seminario’, ‘riassunto’, ‘moda’, ‘leggero’.
Vi abbiamo già elencato in passato un elenco di parole straniere che potremmo benissimo “dire” in italiano. Non si tratta di una crociata contro le lingue straniere, né contro l’impiego dei molti termini inglesi che non hanno corrispondenti italiani efficaci e accettati, ma semplicemente di un gesto d’orgoglio nei confronti della nostra amata lingua italiana.
L’appello dell’Accademia dalla Crusca
Da “lockdown” a “recovery fund”, passando per “smart working”: proprio di recente durante l’emergenza da Covid abbiamo notato come i media d’informazione abbiano fatto ricorso ad anglicismi e parole straniere. In quell’occasione, l’Accademia dell Crusca aveva lanciato “l’allarme dell’invasione egli anglicismi”, rivendicando l’importanza e la bellezza della lingua italiana.
Secondo il principale ente custode della nostra tradizione linguistica, occorre avere maggiore fiducia nella nostra lingua. E naturalmente usare meno anglicismi. “Va fermata l’imbarazzante epidemia di parole straniere, quasi tutte inglesi, che ci sommerge – affermava in quell’occasione il presidente della Crusca Claudio Marazzini – Spesso dietro il ricorso a una parola inglese si nasconde il nulla. Bisogna imparare a usare sempre il corrispettivo italiano se questo esiste nel nostro vocabolario.”
Est usus qui facit linguas.
Purtroppo non è questo il primo tentativo d’imporre al popolo come deve parlare, dimenticando che le lingue attuali sono creature vive in continua evoluzione e non campioni biologici in formalina come quelle morte che ci hanno propinato a scuola.
Va da sé che puristi e ludditi ci saranno sempre, ma quando un simile atteggiamento assume toni politici la cosa si fa preoccupante.
Anche perché a scarnificare la lingua italiana della sua antica patina di cultura sono state proprio (in buona misura) le levate d’ingegno semantiche dei politici, nel patetico tentativo di nascondere la propria pochezza dietro ad un velo di roboante retorica improvvisaticcia (cfr. “riempire la bocca quando la testa è vuota”). Un esempio egregio ci viene proprio dalla succitata signora Meloni: l’espressione “è uno straordinario diplomatico della nostra cultura” dice molto, ma purtroppo non lo dice bene.
La parola straniera si usa spesso per praticità piú che per snobismo: chi ha voglia di dire “multivibratore bistabile” quando basta un semplice “flip-flop”? Nella maggior parte dei casi simili staracismi non sono solo ridicoli ma nuocciono anche pesantemente all’immediatezza della frase.
Piuttosto che incistarsi nella lingua del proprio cortile respingendo gli apporti stranieri, darebbe maggior lustro al Bel Paese rimboccarsi le maniche e riesumare quella cultura che politica e televisione hanno affossato cosí bene per quasi un secolo imparando correttamente alcune lingue straniere e accettando il fatto che al di là dei sacri confini della patria c’è tutto un mondo che già lo fa.
“In un mondo civile le lingue sono ponti, non barriere” (A.A.)