La nostra lingua è ricca di parole ed espressioni che vengono utilizzate frequentemente nella comunicazione scritta e parlata. Buona parte di queste parole italiane, però, non sono usate in maniera corretta e nel contesto opportuno.
Su internet come al bar, in un contesto lavorativo oppure in piazza con amici, è un continuo proliferarsi di dubbi e perplessità circa il corretto uso di alcune parole e locuzioni italiane.
Le parole italiane di cui spesso si sbaglia l’utilizzo
Se espressioni come “siedi il bambino” e “scendi il cane” dall’Accademia della Crusca sono considerate utilizzabili soltanto nel linguaggio parlato o familiare (ma da evitare tassativamente in contesti formali), esistono parole ed espressioni italiane di cui si sbaglia l’utilizzo in qualsiasi contesti ci si trova. Scopriamole di seguito e cerchiamo di fare chiarezza grazie al contributo di Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche.
Sedurre
La parola “sedurre” significa, propriamente, “condurre a sé”, quindi piegare una persona ai propri desideri. I vocabolari lo attestano anche con il significato di “avvincere”, “piacere”, “attrarre”, “commuovere”, “dilettare” e simili: quel film mi ha proprio sedotto. Un film come può sedurre una persona? Come può piegarla ai propri voleri? Per gli amanti della “buona lingua”, è consigliato l’utilizzo del verso sedurre solo nel significato proprio.
Paracadute
Siamo rimasti “paralizzati” nel vedere che molti “scrittori” pluralizzano il sostantivo “paracadute” in “paracaduti“. Il termine in oggetto è un nome composto di una voce verbale (parare) e un sostantivo femminile plurale (cadute) e i vocaboli così composti nella formazione del plurale mutano soltanto l’articolo: il paracadute, i paracadute.
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Guadagnare
Il verbo “guadagnare“, come recitano i vocabolari, significa ricevere remunerazione del proprio lavoro; ottenere qualcosa come riconoscimento del proprio impegno, delle proprie qualità: guadagnare 800 euro il mese; guadagnare la simpatia delle persone ecc.
Nel verbo in questione, insomma, è insito e sottinteso un lavoro, una fatica fisica o intellettuale. Molti intrattenitori televisivi adoperano il verbo guadagnare con il significato (che non gli è proprio) di raggiungere, arrivare, entrare, giungere e simili: mentre gli ospiti, cortesemente, guadagnano l’uscita mandiamo in onda la pubblicità.
Ci sembra che il Tommaseo – Bellini metta bene in evidenza che si raggiunge qualcosa sempre con l’aiuto della forza (fatica) o dell’intelligenza (intelletto). Gli ospiti quale fatica (fisica o intellettuale) affrontano per raggiungere l’uscita? Guadagnare l’uscita, insomma, ci sembra un nonsenso (o non senso).
Ma non è finita. Alcuni utilizzano questo verbo, col beneplacito di alcuni vocabolari, alla francese, con il significato di vincere e simili: guadagnare 300 euro al gioco; guadagnare una scommessa. In questi esempi dove sta la fatica insita nel verbo? È un uso, questo, che gli amatori della buona lingua non debbono seguire.
Ripugnante
I vocabolari dell’uso non attestano “ripugnevole” ma “ripugnante“. A nostro modo di vedere, invece, sarebbe da registrare perché è formato con il suffisso -evole. Da biasimare abbiamo biasimevole, da bisognare bisognevole ecc.; perché da ripugnare non dovremmo avere ripugnevole? Ripugnevole si trova, comunque, in alcune pubblicazioni.
Rimarcare
Il verbo “rimarcare”, dal “sapore” francesizzante (è tratto, infatti, dal francese remarquer), significa “marcare di nuovo”. Non ci sembra corretto usarlo con il significato di “osservare”, “notare”, “considerare”, “rilevare” e simili: Giuseppe gli ha fatto rimarcare il suo comportamento indecoroso. I vocabolari, però… Ma tant’è.
E’ più corretto dire “fuorilegge” o “fuori legge”?
Alternativa
Due parole sull’uso corretto di “alternativa”. Abbiamo notato che buona parte dei così detti mezzi di comunicazione di massa ignora il buon uso del termine e lo adopera a sproposito. I grammatici sostengono, dunque, che per alternativa si deve intendere una scelta, o meglio una possibilità di scelta fra due termini e non come una delle possibilità che la scelta stessa concede.
La frase, per esempio, “l’alternativa è o morire o combattere” è correttissima in quanto esiste un’«alternativa», vale a dire la possibilità di scegliere di combattere o di morire. Se diciamo, invece, “non ha altra alternativa che morire” il discorso è agrammaticale, anzi insensato, perché non esiste possibilità di scelta. Che fare, quindi, in caso di dubbio sul corretto uso di alternativa? Seguire i consigli di alcuni grammatici: sostituire “alternativa” con “dilemma”. Se il discorso “fila”, cioè ha un senso, l’uso di alternativa è corretto, altrimenti no.
Piuttosto che
“Piuttosto che” è un’espressione utilizzata per indicare una preferenza tra due o più opzioni, equivalente a “anziché” o “invece di”. Ad esempio, “Preferisco andare al cinema piuttosto che al teatro” significa che si preferisce il cinema al teatro.
Negli ultimi anni, è emerso un uso errato di “piuttosto che” come sinonimo di “oppure” o “e”. Questo uso non è corretto e altera il significato della frase. Ad esempio, “Possiamo andare al cinema piuttosto che al ristorante” utilizzato per indicare alternative equivalenti è errato.
Questo fenomeno, come fa notare la Treccani, ha avuto probabilmente origine nel parlato del Nord Italia e ben presto la novità è stata “sdoganata” in tv, sui giornali, nel linguaggio pubblicitario, contribuendo a diffondere un uso improprio.
L’uso improprio di “piuttosto che” può creare ambiguità e fraintendimenti. È fondamentale utilizzare questa espressione nel suo significato corretto di preferenza, non solo nello scritto, ma anche nel parlato, per mantenere chiarezza e accuratezza nella comunicazione.
Letteralmente
Altro termine utilizzato impropriamente e anche con frequenza esagerata è “letteralmente“, avverbio che serve ad indicare qualcosa che è successa tale e quale la si descrive, appunto in maniera letterale; eppure il suo uso viene spesso e volentieri utilizzato mediante il linguaggio figurato e non quello letterale che gli appartiene.
L’avverbio “letteralmente” vale “in senso letterale” o “in maniera esatta”. Indica che qualcosa è vero nel senso più rigoroso e preciso del termine. Ad esempio, “Ha detto letteralmente quelle parole” significa che le parole riportate sono esattamente quelle pronunciate.
Negli ultimi tempi, però, “letteralmente” è diventato un termine molto abusato, spesso utilizzato in modo iperbolico o figurato per enfatizzare affermazioni che non devono essere prese alla lettera. Ad esempio quante volte abbiamo sentito dire o abbiamo detto “oggi sono letteralmente morto di stanchezza”, oppure, “sto morendo di fame”, ecco questi, per fortuna, sono modi di dire che usano impropriamente, ribadiamo ancora, per fortuna, l’avverbio “letteralmente” perché nel primo caso nessuno e morto a causa della stanchezza, e nel secondo caso è solamente un’iperbole per dire che si ha tanta fame, ma mica si sta morendo davvero.
L’abuso di “letteralmente” può impoverire il linguaggio e creare confusione, rendendo difficile distinguere tra affermazioni letterali e iperboliche. È importante utilizzare questo avverbio con attenzione per mantenere chiarezza e precisione nella comunicazione.