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I 10 scambi di parole involontari che per errore spesso si commettono

Si dice "ramanzina" o "romanzina"? Ecco un elenco dei più frequenti scambi di parole, individuati e risolti da Roscia all'interno del libro "Errorario".

La lingua italiana è ricca di termini e vocaboli che spesso si avvicinano solo per assonanza. Questo può generare dei veri e propri scambi di parole.

Quando i termini sono somiglianti nella forma ma differenti nel significato, si parla di paronimia se abbiamo a che fare con parole scambiate in modo intenzionale, magari per generare un effetto comico, o in maniera del tutto accidentale.

Quando invece la paronimia è involontaria si parla di malapropismo (termine più elegante per non dire strafalcione).

Cos’è un malapropismo

Il malapropismo consiste nello scambio erroneo di una parola con un’altra simile. Il fenomeno che nasce dalla scarsa padronanza di termini inconsueti che si vogliono utilizzare per parlare in maniera più precisa e appropriata.

Il termine trae origine dal nome della protagonista della commedia “I rivali” (The Rivals) del drammaturgo irlandese Richard Brinsley Sheridan: la protagonista si chiamava “Mrs. Malaprop” e, durante tutta la commedia, scambia parole simili generando ilarità (ad esempio pineapple per pinnacle , ovvero ‘ananas’ per ‘cima’; allegory per alligator, cioè ‘allegoria’ per ‘alligatore’ e così via).

La protagonista, a sua volta, deve il nome all’espressione di lingua francese “mal à propos”, che “significa a sproposito”.

“Errorario” di Massimo Roscia

Il seguente elenco di scambi di parole, con relativo “spiegone” è tratto dal libro “Errorario” di Massimo Roscia, un volume che raccoglie, in rigoroso ordine alfabetico, i più frequenti errori grammaticali, ortografici, lessicali e sintattici, i dubbi, i malapropismi, i tormentoni linguistici, le parole e le frasi sfibrate dall’uso eccessivo. Tra curiosità, aneddoti e motti di spirito, il libro di Massimo Roscia è un viaggio  alla ricerca del significato autentico di alcuni vocaboli, della loro etimologia, delle origini, della storia, del valore stilistico e dell’uso corretto.

10 scambi di parole che si commettono con maggior frequenza

Ecco, di seguito, un elenco dei scambi di parole, individuati e analizzati da Roscia all’interno del libro “Errorario”. Ringraziamo la casa editrice Rai Libri per averci consentito di prendere degli estratti dal libro.

Afferrato

Iniziamo con il primo tra i 10 scambi di parole più comuni. «Mi dispiace, ma non sono molto afferrato in materia». È vero, specie se la materia in questione è l’italiano. Ogni tanto capita che qualcuno faccia confusione scambiando due parole che, bisogna riconoscere, sono molto simili.

Qual è, allora, la differenza? Ferrato viene da ferro e significa, infatti, “munito o rinforzato con il ferro” e, in senso figurato, “esperto”, “provetto”, “preparato in un determinato campo o argomento”; afferrato, invece, pur condividendo con ferrato lo stesso metallo originario (viene anch’esso dal latino ma da adferrare, “impugnare il ferro”, “impugnare un’arma”), è il participio passato del verbo afferrare e cioè “stringere”, “cogliere”, “prendere con forza qualcuno o qualcosa”.

Per non generare ulteriore confusione, lascerei fuori l’aggettivo efferato (“crudele”, “feroce”). Anche se è così che talvolta qualche insegnante diventa al cospetto di certi errori… In ogni caso, spero che abbiate afferrato la differenza.

Bene placido

Ecco un altro esempio di scambi di parole tanto comune quanto volontario. Gli attori Michele Placido e sua figlia Violante, il celebre tenore spagnolo Plácido Domingo, Placido Rizzotto, un giovane sindacalista rapito e ucciso da Cosa nostra verso la metà del secolo scorso, il grammatico latino Lattanzio Placido, il monaco Beato Placido Riccardi o il semplice aggettivo placido (ossia “sereno”, “calmo”, “tranquillo”, “pacifico”): fin qui tutto bene, non abbiamo commesso errori né fatto storpiature.

Non è esatta, invece, la locuzione bene placido. Bene placido è, infatti, un caso piuttosto ricorrente di malapropismo (la sostituzione inconsapevole – che spesso sfocia in esiti comici – di una parola con un’altra che ha un suono simile ma tutt’altro significato).

La forma corretta, che deriva dal tardo latino beneplactum e significa “permesso”, “approvazione”, “consenso formale” (“Dare il beneplacito”), è appunto beneplacito, tutto attaccato e con la T.

Branca / Branchia

Tra gli scambi di parole troviamo anche branca e branchia: i due termini si scrivono e si pronunciano quasi allo stesso modo. Ed è forse questo il motivo per cui molti confondono spesso i due vocaboli che però, va detto, hanno un significato completamente diverso.

Branca (al plurale branche) viene dall’omonima parola latina e significa “unghia”, “zampa munita di artigli” e, in senso figurato, “ripartizione”, “ramo”, “settore di una scienza, di un’arte o di un’attività” (“Le branche del sapere”); branchia (al plurale branchie) deriva invece dal greco branchion e sta a indicare l’organo per la respirazione acquatica di cui sono dotati i pesci.

Dunque la topologia è una branca, e non una branchia, della geometria che studia le proprietà degli enti geometrici che, a differenza della lingua italiana, non variano quando sono sottoposti a una deformazione continua.

Convogliare a nozze

Non rovinate questa immagine così tenera, poetica ed evocativa scrivendo “convogliare a nozze”. La forma corretta di questa bella espressione è “convolare a nozze”. Convolare (composto di con e volare) è un verbo stupendo: significa volare insieme verso una meta, condividere il proprio destino, diventare un solo corpo, una sola anima.

Non sporcate questa nobile rappresentazione dell’amore con un verbo, convogliare, che fa venire in mente auto incolonnate lungo
l’autostrada, acque captate in un bacino idrico o, peggio, truppe che si spostano verso un fronte di guerra.

Flagrante / Fragrante

A meno che non si stia parlando della rapina avvenuta in una panetteria e del contestuale arresto dell’autore del crimine, è scorretto dire o scrivere «fragranza di reato». Ogni tanto capita di confondere flagrante e fragrante. Si tratta, infatti, di due aggettivi dal suono molto simile ma dall’etimologia e dal significato completamente differenti.

Flagrante (dal latino flagrare, “ardere”) è un termine che, nel linguaggio giuridico, indica un “reato scoperto nel momento stesso in cui viene commesso” (“Il ladro è stato colto in flagrante”) e, in senso più esteso, significa “lampante”, “evidente”, “palese” (“Questa è una flagrante ingiustizia”); fragrante (dal latino fragrare, “odorare”) si dice di ciò “che emana un intenso e gradevole profumo” (“Una torta fragrante appena sfornata”; “Biancheria fragrante di bucato appena fatto”).

Inerme / Inerte

In linguistica le coppie di parole che, differendo per un solo fonema, hanno diversi significati sono dette coppie minime. Casa e cara, gatto e matto, mano e nano, cane e pane e… inerme e inerte. Mentre i primi vocaboli, di uso assai comune, non creano alcun tipo di problema, questa coppia di aggettivi dal suono molto simile ogni tanto induce all’errore.

Come evitarlo? L’etimologia può aiutarci a chiarire, una volta per tutte, la differenza tra i due vocaboli. Inerme viene infatti dal latino inermis, composto di in- e arma, “armi”; pertanto sarà sufficiente tenere a mente la parola arma per ricordare che questo aggettivo significa “disarmato”, “indifeso”, “impotente” (“Gli effetti della guerra sulla popolazione inerme”).

Inerte deriva invece dal latino iners-inertis, composto di in- e ars-artis, “arte” ma, anche, “attività”; in questo caso la parola promemoria attività ci rimanderà al suo contrario, inerzia, e da lì al significato del secondo aggettivo che è, appunto, quello di “inattivo”, “immobile”, “inoperoso” (“È rimasto inerte nel suo letto per tutto il giorno”).

Levitare / Lievitare

Ancora una volta basta una semplice I per fare la differenza. E che differenza! Houdini levita, il panettone lievita.

Entrambi i verbi vengono dal latino le˘v˘tum (da levatum, participio passato di levare, “alzare”) ma, mentre levitare significa “acquistare una leggerezza tale da sollevarsi in aria, contro ogni legge della gravità” (“Durante la seduta spiritica il tavolo era levitato a un’altezza di oltre un metro”), lievitare vuole dire “mescolare con il lievito per produrre una fermentazione” (“Lasciate lievitare a temperatura ambiente per circa dodici ore”) e, per estensione, “gonfiarsi”, “crescere di volume o di intensità” (“Negli ultimi anni i prezzi sono lievitati a causa dell’inflazione”).

Qualcuno usa i due verbi come sinonimi; dal canto mio lascio che l’impasto salato, amorevolmente coperto con uno strofinaccio di lino, resti lì, in un ambiente umido, a lievitare ancora per qualche ora, nella speranza di non ritrovarmelo sospeso per aria.

Perpetrare / Perpetuare

Tra gli scambi di parole più comuni, è facile confondere perpetrare e perpetuare. In effetti, sono parole apparentemente molto simili; basta però una singola lettera a cambiare il destino.

Perpetrare significa “commettere intenzionalmente un atto malvagio o un’azione illecita”; perpetuare è, invece, “rendere qualcosa perpetuo”, “fare durare in eterno”.

Per non confonderli, è sufficiente pensare all’aggettivo perpetuo da cui deriva, appunto, il verbo perpetuare per evitare così di generare piccoli Frankenstein come “perpetrare il ricordo” o “perpetuare un crimine”.

Ramanzina / Romanzina

Ecco un altro esempio di scambi di parole che porta ad un dubbio amletico: fare una ramanzina o, come dice qualcuno, una romanzina? Ecco uno dei casi in cui la forma popolare, alla lunga, ha preso il sopravvento su quella etimologicamente più corretta.

Questa voce, che usiamo per indicare un rimprovero, solitamente lungo e noioso, viene infatti dalla parola romanzo (che, nel corso dei secoli, è stato deformato ora in ramanzo ora in rammanzo). Da qui la forma – sconsigliabile – romanzina.

Se non volete avere problemi lessicali, allora fate una bella predica o, al più, un predicozzo.

Venale / Veniale

Ultimo dei 10 scambi di parole più comuni: venale o veniale? Sembrano quasi fratelli gemelli ma, in realtà, questi aggettivi sono molto diversi tra loro.

Venale viene dal latino venum, “vendita”, è sinonimo di “commerciale” e si riferisce a qualcosa che può essere comprato o venduto (“Il prezzo venale di un terreno agricolo” o, rivolgendosi in tono di biasimo a una persona particolarmente avida, “Come sei venale!”); veniale, invece, deriva da venia, “perdono”, e significa “non grave”, “leggero”, “che merita indulgenza” (“Stai tranquillo, è solo un errore veniale” o, nel linguaggio religioso, “Una piccola bugia è un peccato veniale” che, a differenza del peccato mortale, certamente non priva della grazia divina).

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