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Una frase di Molière per riflettere sull’ipocrisia della società di oggi

La frase del giorno è tratta dalla commedia "Il misantropo" di Molière, rappresentata per la prima volta al Palais-Royal di Parigi nel 1666, e ci fa riflettere sul concetto di ipocrisia, ancora oggi attuale.

La citazione con cui vi proponiamo di iniziare la giornata appartiene al drammaturgo francese Molière, contenuta all’interno della sua commedia “Il misantropo”, e ci fa riflettere sull’ipocrisia che ancora oggi caratterizza la società in cui viviamo. 

“Stimare tutti vuol dire non avere stima per nessuno”

L’ipocrisia di voler piacere a tutti

Nella prima scena del primo atto de “Il misantropo”, Alceste in un monologo afferma: “stimare tutti vuol dire non avere stima per nessuno”, per smascherare l’ipocrisia e le continue civetterie tipiche dei frequentatori dei salotti dell’aristocrazia parigina. Ieri come oggi, stimare tutti, o almeno tutti coloro che possono servire per un personale tornaconto, è un atteggiamento tipico anche della società odierna, che nasconde una deriva ancora più deprecabile e sciagurata: il narcisismo estremo a cui siamo purtroppo esposti.

Stimare tutti è una forma estrema di indifferenza nei confronti degli uomini, così come la pulsione di voler piacere a tutti e a ogni costo. Nella società di oggi, il consenso è qualcosa da ottenere con qualsiasi mezzo, e che il più delle volte si misura in base ai “like” che si ricevono sui social.

Ma occorre prendere coscienza che non si può piacere (giustamente) a tutti, ne far credere a tutti coloro che si conosce di essere sempre d’accordo con loro: sarebbe ipocrita. Avere punti di vista e preferenze diverse è legittimo, oltre che indispensabile e alla base del confronto tra punti di vista diversi che, se impostato in maniera costruttiva, può portare ad un arricchimento sia personale che della collettività d’appartenenza.

Il narcisismo odierno non può non farci venire alla mente l’idea di bellezza che troppo spesso viene veicolata sui social da uomini e donne ossessionati dal loro aspetto fisico: una bellezza falsa e artificiale che nulla ha dello splendore di una bellezza autentica, che accoglie i difetti e le fragilità che la rendono unica e inimitabile. 

Come diceva Franca Sozzani, maestra di stile ed eleganza, “Non si può piacere a tutti e, soprattutto, non si deve“. Non si deve, innanzitutto per noi stessi!

Molière

Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, è stato un drammaturgo e attore teatrale francese tra i più importanti del XVII secolo. Figlio di uno stimato e agiato tappezziere, fu introdotto al teatro dal nonno materno, grande appassionato di commedie. Poco più che ventenne, terminati gli studi di diritto e dopo aver ottenuto la Licenza a Orleans, rinuncia alla carica di tappezziere reale per fondare una compagnia teatrale.

Dopo anni di spostamenti continui da una città all’altra, riesce finalmente a raggiungere il successo nel 1660 con la commedia “Sganarello o il cornuto immaginario”, in seguito al quale il re decise di concedere alla sua compagnia la sala del Palais-Royale. Morì nel 1673 di tubercolosi, dopo essere collassato sul palco mentre recitava “Il malato immaginario”.

Moliere ha analizzato la società umana e i suoi vizi come nessuno prima di lui; ha incarnato l’essenza stessa del teatro, reagendo con forza agli insuccessi, alle critiche, alle vicissitudini e ai tormenti della vita. Dopo la sua morte l’Accademia di Francia rifiutò di mettere la sua tomba nel cimitero di Pere Lachaise perché lo riteneva un commediante, culturalmente inferiore. Solo 101 anni dopo, nel 1774 una sua statua fu inserita tra gli immortali. L’iscrizione apposta sulla sua tomba recita: “Nulla manca alla sua gloria, egli mancava alla nostra”

Il misantropo

Il misantropo” è una commedia in 5 atti, che contiene episodi biografici della vita di Moliere. Dopo che le sue due piece teatrali “Don Giovanni” e “Il tartuffo” furono censurate, il drammaturgo francese si trovò da solo, abbandonato dalla moglie e in una profonda crisi depressiva.

“Il misantropo”, lontano dalla comicità tipica delle opere precedenti, è un testo sincero che intende mettere alla berlina gli atteggiamenti e l’ipocrisia della nobiltà francese dell’epoca e parlare anche dei difetti e delle mancanze di ogni essere umano.

Il protagonista Alceste è un idealista, che pretende di essere sincero e coerente ed è incapace di trovare un compromesso con la società e le sue consuetudini. Invaghito di una giovane donna mondana e svenevole, Celimene, tenta di convincerla ad abbandonare il mondo corrotto e superficiale che frequenta per amor suo, ma nulla può di fronte alla differenza di vedute della sua amata. Ad Alceste si contrappone l’amico Filinte, realista incallito che afferma, invece, il dovere di adattarsi al mondo e alla società falsa e immorale. Alla fine Alceste, ripudiato e allontanato da tutti, sarà costretto ad abbandonare la vita mondana e a ritirarsi in solitudine.

Così Alceste all’interno del Primo Atto dell’opera, nel monologo da cui è tratto l’aforisma scelto:

“No, io non posso sopportare questo sistema vile, ostentato da quasi tutta questa gente alla moda; e non c’è niente che odii tanto quanto le contorsioni di questi grandi funamboli delle dichiarazioni d’amicizia, questi affabili dispensatori di frivoli abbracci, questi accattivanti dicitori di parole inutili, che con tutti fanno a gara a chi fa più cerimonie, e che trattano allo stesso modo il galantuomo e il cafone.

A che cosa serve che il primo venuto vi abbracci e vi giuri eterna amicizia, fedeltà, premura, stima, affetto, e tessa di voi il più luminoso panegirico, quando si sa che farà lo stesso con l’ultimo pezzente? No, no, un’anima bennata non deve aver nulla a che fare con un’amicizia così prostituita, e si gloria di doni ben più cari che non quello di vedersi confuso con tutto l’universo. La vera stima deve fondarsi su una qualche ragione, e stimare tutti vuol dire non avere stima per nessuno.”

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