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“La vita davanti a sé”, un libro che narra lo spasmo interiore dell’autore

A proposito di pseudonimi, e quindi anonimi come l’inflazionata questione su Elena Ferrante , che comunque non ci cambierà la vita, oppure lo straordinario ed intrigante Banksy di cui pare qualcuno abbia colto con un cellulare il viso incappucciato, occhialuto e stravolto in una notte australiana, c’è in in realtà una storia molto curiosa che gira intorno al nome di Emile Ajar, a me sconosciuta fino a quando mani femminili e sorriso sornione hanno messo nella mia tasca uno dei suoi capolavori La vita davanti a sé folgorandomi. Se volete conoscere la trama e la storia di Momò, bimbo cresciuto da Madame Rose, 95 kg di ex prostituta, 95 Kg sopravvissuti ad Auschwitz, in una strabordante umanità multietnica, trans senegalesi, mangiatori di fuoco, protettori nigeriani, antieroi, ombre nascoste in esistenze scivolose su pareti di uno specchio incrinato nel primo dopoguerra francese, antesignano di una realtà incredibilmente attuale sul convivere ai bordi, alle periferie dell’anima, lo potete leggere perché non diremo altro su questo libro meraviglioso, acre e dolce, ironico e struggente e questo bambino senza genitori che non sa nulla della madre, inconsapevole persino della propria età, che ricorre alla fantasia per consolare la percezione che ha del suo mondo interiore e della precarietà in cui si muove fino all’incredibile amaro, commovente, struggente, inusuale finale.

Esperienza nell’esperienza, vite dentro vite come scatole cinesi, scoprire fra quelle righe lo spasmo interiore dell’autore Emile Ajar, anzi Romain Gary, anzi Fosco Sinibaldi, anzi Shatan Bogat tutti pseudonimi in realtà di Romain Kacev alla faccia di chi è consumato dall’ indicibile fiamma di protagonismo. Le sue immagini in bianco e nero ce lo restituiscono con tutto il suo magnetismo evidente, palpabile, fuori sopra e sotto le righe, la sua trasgressione che ha beffato l’enclave letteraria francese quando vince per la seconda volta, all’insaputa di tutti con un nuovo pseudonimo, il Premio Goncourt, assegnabile solo una volta, facendolo ritirare da un finto vincitore suo parente. Unico caso di vincita doppia, quindi, avendo firmato due capolavori con pseudonimi diversi, nascondendo la sua identità persino all’ ignaro editore. Sarà questa voglia di azzardo, con i suoi occhi blu, bello come un eroe di guerra quale è stato, le belle donne che ha sposato, smaliziato intrigante come un pirata che dirige la sua penna asciutta con crudezza e commozione, umorismo e amarezza in opere dense di tutte le sfumature umane, da angolature inusuali, che lo fanno vivere e rivivere nei suoi personaggi, talmente vividi, che si siedono accanto e ti girano le pagine.

Solo dopo la sua morte si scoprirà che il vincitore per La vita davanti a sé era lui “Pensiamo a come deve essersi sentito col suo segreto, quando la rivista Lire ha stroncato la sua opera (quella di Gary) e ha concluso scrivendo: “Ajar è decisamente un altro talento Gary contro Ajar” non sapendo che stavano parlando della stessa persona e questo la dice lunga sul mondo intellettualoide della critica di ogni tempo. Insomma una beffa, una stangata alla Redford, una burla come i finti Modigliani qui in Italia, il mondo cattedratico ridicolizzato, un tavolo da gioco dove carta vince carta perde, come nella vita, una irriverenza espressa fino alla fine, quando, nell’ ultimo atto di libertà estrema ed assoluta, raschio e carezza, indossando per delicatezza una vestaglia rossa per non impressionare i soccorritori, si sparò lasciando scritto “Nessun rapporto con Jean Seberg (la sua seconda moglie morta suicida un anno prima ma dalla quale aveva da tempo divorziato). I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove”.
Assolutamente da leggere

Raffaella De Nicola

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