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Quando Dio era una Donna, un viaggio fino alla preistoria

C’era una volta in cui Dio era Donna.

Un tempo lontano, quando saggezza, profezia e fertilità potevano più dei fulmini scagliati e degli eserciti schierati.

Un tempo scandito da società matrilineari, in cui le donne si occupavano dell’intero sostentamento della comunità.

Non sante, non puttane: vere dee ignare di dover, un giorno, lottare per l’emancipazione femminile.

Questa storia, in forma di saggio analitico, ricco di documentazioni e citazioni che riportano a varie epoche e culture, ce la racconta Merlin Stone, negli anni del femminismo. Il libro “Quando Dio era una Donna” fu, infatti, edito nel 1976.

L’opera è complessa e coraggiosa: se pur frutto di una ricerca condotta con professionalità, non si arroga il compito di rivelare “dogmi scientifici”, ma di stimolare ulteriori studi in merito, tramite l’archeologia, la mitologia, l’antropologia, la storia, la teologia e, infine, perfino la politica.

Tutto parte da una domanda. Quanti di noi, cristiani o atei, possiamo definirci completamente avulsi dalle teorie di matrice giudaica che pongono Dio al maschile e attribuiscono ad Eva lo scomodo ruolo di tentatrice, punita, per la disobbedienza, con la sottomissione all’uomo? Ben pochi, perché la cultura occidentale si è sviluppata su tali radici, assecondandole o contestandole, ma, comunque, dovendo confrontarsi necessariamente con esse.

Secondo la teoria della Stone, ad iniziare dal 7000 a.C. fino al 500 d.C. circa, nelle terre della Mesopotamia e del Mediterraneo, Dio era Donna. Secondo alcuni studiosi, il culto della Divina Antenata è addirittura ravvisabile nel paleolitico superiore, ossia intorno al 25.000 a.C.

Furono i bellicosi popoli provenienti dal Nord, chiamati Indioeuropei o Ariani,  a sovvertire un ordine millenario. Queste popolazioni ebbero dei contatti anche con gli Ebrei, soprattutto durante la vita di Abramo. I leviti, i particolar modo, sembrano legati ai Luvi, per lungo tempo considerati Ittiti e, dunque, una sorta di casta fra gli Indioeuropei.

Non è stato un processo breve, ma lungo, i cui esiti non si limitarono ai massacri nella terra di Canaan, ma continuarono fino ai roghi delle Streghe e, in forma minore, ma non trascurabile, fino ai nostri giorni, a causa di stereotipi duri a morire.

È comunemente accettato che, in ambito mitologico, la terra sia Madre, che accoglie passivamente il seme del Cielo. Tuttavia, in Sumeria, Babilonia, Egitto, Africa, Australia e Cina ci sono precise attestazione di Dee creatrici, appellate come Regine del Cielo (epiteto caratteristico, non a caso, della Vergine Maria).

In questi contesti, definiti, come ho precedentemente accennato, matrilineari, non vi era una chiara connessione fra l’atto sessuale e la riproduzione, perciò i bambini erano semplice frutto del ventre femminile e prendevano il nome del clan materno, in un susseguirsi di generazioni che si dipanavano da madre in figlia e non da padre in figlio.

Il penultimo capitolo, dedicato all’esegesi del racconto edenico, è il perno dell’opera. Vengono evidenziate simbologie e punti di contatto fra serpente e l’albero della conoscenza del bene e del male (e della sessualità), che appaiono in molte altre religioni, al fine di comprendere come fosse ben chiaro, nella stesura del testo biblico, l’intento di sminuire e sottomettere la Dea e, di conseguenza, ogni Donna.

La Stone si augura che la ricerca porti alla luce una nuova epoca, fatta di rispetto, parità e reciproca valorizzazione fra i sessi:

«Forse quando donne e uomini morderanno insieme quella mela, o fico che sia, imparando a considerare le idee e le opinioni reciproche con rispetto e a guardare il mondo, con le sue ricchezze, come un luogo che appartiene a tutti gli esseri viventi che lo abitano, allora potremo cominciare a reputarci una specie veramente civilizzata».

Il nostro viaggio nel tempo, oggi, termina qui: ci aspetta quello di domani, nella consapevolezza di chi eravamo e di chi vogliamo diventare. Buona avventura!

 

Emma Fenu

7 ottobre 2015

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