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Quando l’amore salva dalla perdita di sé, Idda di Michela Marzano

Cosa resta di noi quando la malattia porta via la coscienza di noi stessi? L'amore. Idda di Michela Marzano è un viaggio alle radici della memoria e dell'identità

MILANO – Quando la nostra coscienza se ne va, quando i ricordi che abbiamo sono mangiati dalla malattia, cosa rimane di noi? E quando invece siamo noi stessi a seppellire volontariamente il nostro passato, come si può recuperare ciò che abbiamo lasciato indietro? Michela Marzano è tornata nelle libreria con Idda (Einaudi), un romanzo che affronta i temi della malattia, della memoria, e dell’identità. L’abbiamo intervistata per saperne di più.

La protagonista di Idda è Alessandra, insegnante di biologia all’Università di Parigi, fuggita dall’Italia per lasciarsi alle spalle un trauma familiare. La sua vita scorre liscia, tra le lezioni universitarie e l’amore per il suo compagno Pierre. Quando Annie, l’anziana madre di Pierre, è ricoverata in una clinica perché sta progressivamente perdendo la memoria, Alessandra è costretta a rimettere tutto in discussione. Chi siamo quando pezzi interi della nostra vita scivolano via? Che cosa resta di noi?

Michela Marzano ©Jean François Paga Opale
Michela Marzano ©Jean-François Paga

L’intervista

Anche tu come Alessandra sei un’italiana trasferita a Parigi, insegni all’università, hai un compagno francese… quanto c’è di te nella tua protagonista?

Ho cercato di metterci il meno possibile in realtà, anche se ci sono tante somiglianze tra me e Alessandra. Anche io mi sono trasferita in Francia e insegno all’università, ma io – a differenza sua – non sono fuggita dall’Italia, che anzi per certi aspetti mi manca molto. Alessandra è una biologa, maniaca dell’organizzazione, terrorizzata dall’idea di perdere il controllo. Io, al contrario, sono disordinata e caotica. Alessandra ha paura della maternità, per me invece uno dei più grandi rammarichi della vita è non aver avuto figli. L’aspetto dell’affrontare la malattia di un familiare invece ci accomuna: mia suocera Jeanne, che ora non c’è più e da cui ho tratto ispirazione per Idda, ha sofferto di una malattia neurodegenerativa, e anche per me e mio marito c’è stato il percorso difficile di accompagnamento in questa malattia.

Attraverso Annie Alessandra è portata ad affrontare il suo passato, questioni che per anni ha voluto lasciare sepolte e che ora premono per tornare a galla. Perché a volte è necessario tornare indietro, e affrontare il nostro vissuto, per poter andare avanti? Che ruolo ha la memoria nel nostro percorso di crescita?

È inevitabile dover affrontare il passato per poter conoscere il nostro presente, per poter capire chi siamo. Anzi, è solo capendo da dove veniamo, attraverso la comprensione delle nostre radici che possiamo capire chi siamo veramente. Per Alessandra questo ha voluto dire scontrarsi con la sua famiglia, con gli avvenimenti che l’hanno portata a fuggire da casa sua e cancellare, anche attraverso il cambiamento di nazione – e soprattutto di lingua, il trauma che ha subito. Interrogandosi sul rapporto che c’era tra Annie e suo marito, e in qualche modo riscoprendosi lei stessa come “figlia” inizia un percorso di conoscenza di sé che rispalanca il passato. A segnare la svolta è il momento in cui, durante una lezione all’università, le “scappa” – per la prima volta dopo anni – una parola nel suo dialetto salentino: “ua”, uva, una parola che scatena una serie di ricordi. Dopo questo lapsus linguistico non può far altro che affrontare il suo passato,  senza più nascondersi.

Annie e Alessandra, due donne su un percorso parallelo eppure diverso. Che cos’hanno in comune?

Sono l’una lo specchio dell’altra, in un certo senso. Entrambe affrontano faticosamente il processo di scoperta di sé attraverso la memoria, che Annie ha perso involontariamente, a causa della malattia, mentre per Alessandra la perdita della memoria è stata volontaria. Entrambe hanno avuto difficoltà rispetto alla maternità, ed è grazie ad Annie che Alessandra riscopre il suo essere figlia, e decide di riaprire i conti con la sua famiglia.

C’è un punto cruciale nel romanzo, quando Alessandra chiede alla dottoressa “cosa resta di noi quando perdiamo noi stessi?” , riferendosi alla perdita di memoria e coscienza di sé che sta vivendo Annie. Che cosa ci dici tu su questo?

È una domanda che accomuna chiunque abbia a che fare con familiari che si ammalano di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o la demenza senile. La dottoressa però dice una cosa molto confortante in fondo: che anche quando la memoria e la coscienza vigile se ne vanno, c’è qualcosa che resta: l’amore.  E che, in fondo, dobbiamo concedere alle persone il diritto di lasciarsi andare. Anche se talvolta le persone come Annie non sono più in grado di riconoscere i loro cari, non smettono mai di sapere che si tratta di persone familiari. Da quando è uscito il libro mi sono arrivate tantissimi messaggi di persone che hanno vissuto questa stessa esperienza: “è stato proprio così con mia mamma, fino alla fine non ha mai smesso di volerci bene”. Ecco, quando mi sento dire queste cose sono felice di aver raccontato questa storia.

Tu hai un passato di saggista, come mai hai iniziato a scrivere romanzi?

Io ho un passato di saggista, è vero, ma ultimamente anche nella saggistica mi sono spostata sempre di più su questioni di etica, e di filosofia etica. Quando mi sono trovata ad affrontare il tema della vulnerabilità, della memoria e della perdita di pezzi di sé, ho capito che avevo necessità di un linguaggio diverso, meno schematico di quello saggistico, mi serviva la scrittura romanzesca. Ero di fronte a fenomeni che non si possono spiegare, ma solo mostrare. Come diceva Umberto Eco: “su ciò su cui non si può teorizzare, si deve narrare”

Michela Marzano è professore ordinario di filosofia morale all’Università  di Paris Descartes, ed è scrittrice di saggistica e narrativa. Tra i suoi titoli: Volevo essere una farfalla (2011), L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore (Premio Bancarella 2014), Papà, mamma e gender (2015). Per Einaudi ha pubblicato L’amore che mi resta (2017) e Idda (2019).

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