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Pier Luigi Vercesi, ”I media dovrebbero trattare i libri come spunto per capire l’attualità”

I giornali e i politici parlano poco – e male – di cultura: in Italia ci sarebbe bisogno di maggiore divulgazione, per colmare la distanza tra i libri e i potenziali lettori. Ma finché il pubblico per primo si disinteresserà al tema culturale difficilmente cambieranno le cose: bisogna cominciare a spezzare questo circolo vizioso. È quanto emerge dalle parole di Pier Luigi Vercesi, direttore del settimanale Sette...

Il direttore di Sette parla dei suoi gusti letterari e del rapporto dei media, della politica e degli italiani con la cultura

MILANO – I giornali e i politici parlano poco – e male – di cultura: in Italia ci sarebbe bisogno di maggiore divulgazione, per colmare la distanza tra i libri e i potenziali lettori. Ma finché il pubblico per primo si disinteresserà al tema culturale difficilmente cambieranno le cose: bisogna cominciare a spezzare questo circolo vizioso. È quanto emerge dalle parole di Pier Luigi Vercesi, direttore del settimanale Sette.

Quali sono i suoi gusti personali in fatto di lettura?
È una domanda complicata a cui rispondere, perché io sono un bibliomane. Ho una biblioteca di circa 90 mila volumi e vivo sepolto nei libri: sono un lettore molto forte, leggo quasi un libro a settimana – in certi periodi della mia vita mi capitava di leggerne anche uno al giorno.
Sono tendenzialmente un lettore di saggistica, non amo la letteratura contemporanea se non di genere – quando voglio svagarmi mi rivolgo a Ken Follett e ad altri giallisti. Amo invece i classici e sono un appassionato di libri di storia.


Qual è lo spazio dedicato dalla vostra testata ai libri?

Uno spazio vastissimo. Un conto è parlare di libri in termini di recensione – in questo senso le pagine possono essere quattro o cinque. Ma nella definizione del timone del giornale spesso parto da libri per intercettare una tendenza e raccontarla, per fare servizi d’attualità. Il 30% del giornale è ispirato al mondo dell’editoria.

Secondo lei cultura e libri trovano il giusto spazio sui media italiani?
Io penso che se i libri fossero trattati in maniera differente aiuteremmo di più la lettura, invece questi argomenti sono stati per molto tempo e sono tuttora generalmente relegati a pagine cultura che sono un po’ paludate. Se parlassimo di libri con più leggerezza, prendendoli come spunto per capire ciò che accade intorno a noi, li renderemmo meno distanti dai lettori.
È lo stesso rapporto che c’è tra l’accademia italiana e quella del mondo anglosassone: uno storico di Oxford viene misurato in base a quante copie riesce a vendere a Londra, deve quindi cercare di essere divertente, di raggiungere il pubblico, pur rispettando il rigore scientifico. Se invece un accademico italiano tenta di parlare al grande pubblico viene quasi snobbato, perché lo si considera un “divulgatore”.  Nel mondo anglosassone “divulgazione” è una parola positiva, qui in Italia negativa.

Tra poco si svolgeranno le elezioni: all’interno del dibattito politico il tema della cultura è abbastanza discusso?
No. Qualcuno ne parla a volte, ma in assoluto, per tutte le parti politiche, il tema culturale rimane sempre in disparte. Siccome però i politici, mi pare di capire, dicono quello che vogliono sentire gli elettori, probabilmente non ne parlano perché i sondaggisti riferiscono che si tratta di un argomento che non porta voti: non sono solo i politici a preoccuparsene poco, ma anche gli elettori. Nel privato tutti sembrano interessati alla cultura, ma chi poi legge effettivamente le pagine culturali è una minoranza. È un cane che si morde la coda: i politici e i giornali parlano poco di cultura perché il pubblico sottovaluta questo tema. È questa un’attitudine diffusa in Italia che bisogna scientificamente rimuovere.
Proprio in questi giorni sto facendo fare un’inchiesta sul perché Milano, che ha un vasto pubblico di turisti legato alla moda e allo shopping, non intercetti questo pubblico per portare persone nei musei, cosa che avviene invece all’estero. A Vienna, Berlino, Parigi – persino Istanbul in questo è più avanti di noi – nei punti di approdo turistici, nelle stazioni, negli aeroporti, accanto a cartelloni pubblicitari di oggetti di tecnologia, di moda e così via, ci sono anche quelle dei musei, delle mostre in corso. In Italia invece non c’è nessuna promozione del nostro patrimonio artistico.

 

25 gennaio 2013

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