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Perché il poeta è da considerarsi un veggente

Solo l’amare conta, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto Pasolini

La poesia è un’illuminazione, che si rende inconfondibile rispetto ad altri stati d’animo. La puoi per questo definire  intuizione, quasi divinatoria, al punto che persino lo stesso poeta si meraviglia di tali illuminazioni che riporta scrivendole in uno stato rapsodico.

Un ‘ illuminazione è quanto di più lontano dalla costruzione poetica, tutt’al più il poeta può far uso del gioco poetico, perche le rime, le assonanze, le consonanze, la metrica e quant’altro  non sono che giochi che non la devono costipare quell’illuminazione, ma permetterle di trovare la sonorità migliore per esprimersi.

Forse la giovinezza è solo questo, perenne amare i sensi e non pentirsi Penna

Montale scriveva ad Adriano Grande nel 1932: Ho scoperto un certo Poeta, Penna, che mi piace e del quale ti manderemo qualcosa. E’ un giovane fine, che si leva dalla solita pastetta che va in giro.

Il poeta come la poesia la cogli subito, si differenzia, non è schematica ma con i suoi versi veggenti irrompe nell’animo di chi la legge o la ascolta.

Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento dei sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia: cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto – e il sommo Sapiente – Egli giunge infatti all’Ignoto ! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli giunge all’ignoto, e quand’anche, sbigottito, finisse col perdere l’intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe pur viste! A. Rimbaud

Viviamo un contesto socio economico ben lontano dalla poesia, se mi permettete siamo nella prosa più banale, nello schematismo, nel consumo, nel virtuale, o come direbbe qualcuno nell’età artificiale. Troppe informazioni fanno perdere la presenza di quelle importanti, le spostano, talvolta le sostituiscono e siamo fatti così della sostanza di cui sono fatti i cartelli giornalistici e pubblicitari anziché della sostanza dei sogni.

I poeti, quelli veri, sono da sempre una generazione di precari, di inadatti. Ma oggi ancor di più. «Nessuno ti richiede più poesia!» « E’ passato il tuo tempo di poeta» scriveva Pasolini e come dargli torto. Pochi leggono poesia e se pensiamo alla città ed ai suoi simboli come luogo di realizzazione delle potenzialità creative ci si ritrova quasi tutti ad essere esseri alienati.

La vita vera, quelle delle intuizioni, delle visioni, delle emozioni, è ai margini, ed un vero poeta deve per forza sentirsi marginale, non inglobato in questo contesto di plastica e opporvisi con tutta la sua diversità. Ci vuole coraggio certo, del momento presente, compassione per la propria storia, nomadismo atletico, fratellanza profondamente e radicalmente rivoluzionaria. Da questa condizione esistenziale possono nascere anche oggi le poesie. Credo che mai come oggi ci sia bisogno di poeti veggenti e di poesia come illuminazione, perché la poesia libera riconnettendoci con la parte migliore di sé e costruisce ponti unici…

Ho teso corde da campanile a campanile; ghirlande da finestra a finestra; catene d’oro da stella a stella, e danzo. A. Rimbaud

Carlo Picca

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