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Nicola Lagioia: “La cultura aveva predetto tutto, occorre ascoltarla”

Può una crisi epocale trasformarsi in un' occasione di rinascita? Ci risponde Nicola Lagioia, scrittore e direttore del Salone del Libro

Si avvicina l’edizione straordinaria del Salone del Libro, dal titolo “Altre forme di vita”, in programma dal 14 al 17 maggio. Abbiamo chiesto allo scrittore Nicola Lagioia, direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino, di raccontarci questa nuova edizione e come si immagina il futuro del mondo dei libri. 

L’intervista a Nicola Lagioia

Com’è nata l’idea di trasformare il Salone del Libro in una grande piazza virtuale?

Il 30 aprile questa idea ancora non esisteva. Rinviato il salone in autunno, vedevamo avvicinarsi la data del 14 maggio con un po’ di tristezza, perché per la prima volta non si sarebbe celebrato il Salone. Parlando sul gruppo di whatsapp, abbiamo pensato che avremmo potuto organizzare qualcosa di simbolico. Così, ci viene l’idea di chiamare Alessandro Barbero per una lezione in diretta dalla Mole Antonelliana. Questo è stato solo l’inizio. Abbiamo provato a contattare timidamente qualche altro autore e tutti, da Salman Rushdie a Javier Cercas, ci hanno risposto con grande entusiasmo. Questa creatura ci è cresciuta meravigliosamente fra le mani, suscitando un clamore che non ci saremmo mai aspettati.

Quando sarà e come si svolgerà il prossimo Salone del Libro?

Ancora non sappiamo quando sarà il prossimo Salone, perché ovviamente non dipende da noi. Però siamo una squadra di lavoro talmente rodata che sapremo adattarci alla forma che prenderanno le cose. Come in questo caso. A un certo punto, comincerà a esserci un perimetro e noi ci adatteremo a esso. La capacità di adattamento è tipica della specie e nella difficoltà troveremo la forma giusta, non appena sapremo cosa è possibile fare. 

Può una crisi epocale, come quella che stiamo vivendo, trasformarsi in una occasione per innovare il mondo dei libri?

La mia impressione è che si tornerà alla normalità, ma sarà una normalità diversa. Sarà una normalità anfibia, ibrida. Basta pensare allo smartworking, che non credo scomparirà. Come non scomparirà il contatto fisico, di cui abbiamo bisogno più che mai. Anche per il mondo del libro, secondo me, può essere un’occasione di rinnovamento. Penso soltanto alle iniziative dei librai, come le consegne a domicilio. Nelle difficoltà ci si inventano soluzioni nuove non soltanto per stare in piedi, ma anche per muoversi in questo scenario nuovo che ci si spalanca. Come se fosse caduto un piccolo meteorite e ci trovassimo davanti a un paesaggio mutato. Noi siamo ancora qui e ci dobbiamo adattare. E – chissà -che non ci spuntino le branchie per andare sott’acqua e scoprire un mondo nuovo.

Che ruolo può avere la cultura in questo momento di crisi?

La cultura, come spesso le accade, ha fatto la parte della Cassandra. Tutto quello che è successo la cultura lo aveva previsto, lo aveva gridato. Prendiamo il libro più venduto in queste ultime settimane, “Spillover“, edito da Adelphi. L’ha scritto David Quammen, un divulgatore scientifico che 10 anni fa aveva tracciato perfettamente l’identikit del coronavirus, dialogando con i più grandi virologi sparsi in giro per il mondo. Penso anche ad “Anna” di Ammaniti o alla “Terra dei figli” di Gipi. Insomma, la cultura è stata profetica, forse doveva trovare il modo di farsi ascoltare di più. O forse c’è bisogno che le orecchie delle persone si mettano più in ascolto. 

 

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