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”L’oste dell’ultima ora”, una piccola storia da sorseggiare ”come un calice di vino”

Un piccolo ''divertissment'', una storia da leggere in treno, o raccontare in una serata con gli amici, magari da accompagnare a un bicchiere di buon vino. Così Valerio Massimo Manfredi ci parla del suo libro ''L'oste dell’ultima ora'', che ha per protagonista lo ''sgangherato'' oste delle nozze di Cana di cui si racconta nei Vangeli...

Lo scrittore Valerio Massimo Manfredi, autore della trilogia “Aléxandros” e de “Il mio nome è Nessuno”, ci parla del suo ultimo libro, “L’oste dell’ultima ora”, titolo d’apertura di una collana di Wingsbert House che raccoglie storie dedicate al vino

MILANO – Un piccolo “divertissment”, una storia da leggere in treno, o raccontare in una serata con gli amici, magari da accompagnare a un bicchiere di buon vino. Così Valerio Massimo Manfredi ci parla del suo libro “L’oste dell’ultima ora”, che ha per protagonista lo “sgangherato” oste delle nozze di Cana di cui si racconta nei Vangeli. Figlio di contadini senza terra nella Galilea sotto il giogo romano, così almeno immagina l’autore, questo sconosciuto personaggio è costretto a vivere inventandosi nuovi lavori, finché non decide di aprire una promettente rivendita di vino. Nel frattempo nel mondo attorno a lui sta avvenendo un cambiamento epocale: la predicazione di Gesù di Nazareth, che lui incontra proprio a Cana. Qualcosa va storto, l’oste ha portato vino insufficiente per il pranzo nuziale, e questo dà occasione per il primo miracolo compiuto da Gesù. Le loro strade si incontreranno ancora anni dopo, durante la Pasqua a Gerusalemme, quando i discepoli del Nazareno gli verranno a chiedere ancora del vino per celebrare quella che sembra una sera triste come una cena d’addio

Com’è nato questo libro?
Da un’idea dell’editore, Francesco Aliberti di Wingsbert House, di creare una collana di storie ispirate al vino: è stato lui a chiedermi di aprire la serie.
Si trattava a quel punto di individuare un racconto che potesse funzionare e che avesse una dimensione affine a quella del bicchiere di vino, che si può bere con gusto immediato o sorseggiando più lentamente.
La parola vino mi ha evocato tutte quelle situazioni che nella mia cultura e nella mia memoria avevano a che fare con quel concetto, e mi si è presentata la figura di questo oste del Vangelo, che compare nell’episodio delle nozze di Cana.

Cose le piaceva di questo personaggio?
Mi sono sempre chiesto come un oste  potesse sbagliare in maniera così grossolana l’ordine del vino – perché di fatto così era stato, aveva ordinato troppo poco vino – in occasione di un pranzo ufficiale, il pranzo di matrimonio di persone per giunta altolocate.
Un oste che non ha la capacità di calcolare  quanto vino occorra per un ricevimento ufficiale deve essere un personaggio un po’ sgangherato: da questo piccolo ragionamento è emersa l’idea di costruirgli una storia a monte, una vita di fantasia, di dargli un nome, un cognome, una vicenda personale. Naturalmente con una logica coerente. Da qui nasce la possibilità di ambientare il personaggio, di fargli incontrare chi pare a noi, di fargli vivere quello che vogliamo: qui entra in gioco l’“onnipotenza dell’autore”.

Che figura ne viene fuori?
Ne viene fuori una figura simpatica, gli si vuol bene. Non gliene va bene una, è sgangherato, ma è un brav’uomo, e senza accorgersene diventa coprotagonista di un evento che cambierà il mondo intero.

Lei fa diventare protagonista un personaggio umile, che si colloca ai margini di un grande evento. Come mai questa scelta?
La dimensione del personaggio si adatta bene a questa piccola storia, che vuole essere un divertissment, che si può leggere in treno o raccontare agli amici in una serata di inverno. Incastrare una storia che nessuno conosce in una storia che sanno tutti crea un contrasto che funziona.
D’altro lato è anche un racconto che ha momenti di un certo pathos, di una certa forza. Verso la fine del libro, quando gli apostoli gli si rivolgono per avere del vino, dicendo che non hanno soldi ma che probabilmente quella cena per loro sarà l’ultima insieme, quelle scene sono di un’umanità molto familiare.

L’oste è in effetti un personaggio che il lettore può sentire molto vicino…
Sì, è molto amabile, vi sembrerà di conoscerlo da sempre.
Anche il linguaggio è molto semplice, familiare, diverso da quello de “Il mio nome è Nessuno”, il mio ultimo romanzo, dove si vede che in ogni pagina c’è una ricostruzione filologica massiccia. Qui anche la lingua è scelta in modo che il libro possa fare compagnia a un bicchiere di vino e viceversa, in modo che possa essere una storia da tutti i giorni, ma che lasci alla fine un’emozione che resta.

1 febbraio 2014

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