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Le lettere d’amore di Vladimir Nabokov alla moglie Vera

Da quando si conobbero nel 1923 fino alla sua morte, Vladimir Nabokov scrisse tantissime lettere d'amore alla moglie Vera

MILANO – Era il 1923 quando Vladimir Nabokov incontrò a Berlino l’amore della sua vita, Vera Slonim, brillante traduttrice ebrea di origini russe. Tra i due ci fu un vero e proprio colpo di fulmine, suggellato due anni dopo dal matrimonio e da una vita intera trascorsa insieme.  Vera fu la sua traduttrice, correttrice di bozze, compagna fedele in tutti i suoi viaggi. Era solita portarsi dietro una pistola, per essere certa di proteggere il marito in ogni circostanza. È grazie a lei se possiamo leggere Lolita, perché più volte ha impedito a Vladimir di darne alle fiamme le prime bozze. Nabokov si fidava ciecamente di lei: tutte le sue opere sono dedicate a lei, e centinaia di lettere d’amore, raccolte in Letters to Vera, mostrano il tenero sentimento di Nabokov nei confronti della moglie.

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Le lettere d’amore di Nabokov a Vera

Questi stralci di lettere sono tratti dalla raccolta Letters to Vera, pubblicata postuma, che contiene tutte le lettere scritte da Vladimir Nabokov alla moglie. Non disponiamo delle risposte di Vera, perché quest’ultima le diede tutte alle fiamme. I brani seguenti appartengono tutti a lettere del 1923, pochi mesi dopo il loro primo incontro.

Luglio 1923

Non lo nascondo: sono così disabituato all’idea della gente – ti prego, capiscimi – così disabituato, che i primi minuti del nostro incontro mi sembravano uno scherzo, un travestimento ingannevole […] Ci sono solo alcune cose di cui è difficile parlare: si scuote il loro meraviglioso polline toccandole con le parole… Sì, ho bisogno di te, del mio racconto di fate. Perché tu sei l’unica persona a cui posso parlare del grido di una nuvola, del canto di un pensiero e del fatto che quando oggi sono andato a lavorare e ho visto ogni girasole in faccia, mi hanno sorriso anche loro con i loro semi […] A presto mia strana gioia, mia tenera notte.

Novembre 1923

“Come posso spiegarti, mia gioia, stupenda gioia dorata, quanto posso essere tuo con i miei ricordi, le mie poesie, i miei impeti, i miei vortici interiori? Come posso spiegarti che non posso scrivere una parola senza ascoltare come tu la possa pronunciare; posso solo ricordare le sciocchezze vissute con un rimpianto così acuto per non averlo vissuto insieme a te, anche se il più personale, il più indescrivibile. Non parlo semplicemente di un qualsiasi tramonto dietro l’angolo di una strada. Mi capisci, gioia mia”?

So di non riuscire a dirti nulla con le parole e quando siamo al telefono escono in modo così sbagliato. Perché con te bisogna parlare in modo splendido, come si parla ad esempio alle persone che non ci sono più da tempo…in termini di purezza, splendore e precisione spirituale…Puoi essere offesa per un brutto diminutivo perché sei così totalmente risonante come l’acqua del mare, amore mio”.

“Lo giuro, e gli schizzi di inchiostro non hanno niente a che vedere con questo, lo giuro su tutto ciò che mi è caro, in tutto ciò in cui credo. Giuro di non aver mai amato nessuno come amo te, con tanta tenerezza, al punto delle lacrime, con un tale senso di splendore.”

Più di tutto io voglio che tu sia felice, e credo di poterti dare quella felicità – una serena, semplice felicità – e tuttavia non comune…

Voglio semplicemente dirti che in un certo senso non riesco a immaginare la vita senza di te.

Ti amo, ti voglio, ho bisogno disperatamente di te… I tuoi occhi – che brillano pieni di stupore quando, con la testa piegata all’indietro, dici qualcosa di divertente – i tuoi occhi, la tua voce, le tue labbra, le tue spalle – così luminose…

Sei arrivata nella mia vita – non come chi viene in visita… ma come chi giunge in un regno dove tutti i fiumi erano in attesa del tuo riflesso, e tutte le strade dei tuoi passi.

Dicembre 1923

Ti amo mio sole, mia vita, amo i tuoi occhi – chiusi – tutte le piccole code dei tuoi pensieri, le tue vocali allungate, la tua intera anima dalla testa ai piedi.

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