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Jonathan Coe, ”Ogni mio libro è il tassello di un mosaico”

Tutti i suoi romanzi sono i capitoli di una storia più complessa, che si dipana dall'uno all'altro e ha al suo centro la ricerca di sé, della propria identità. È quanto ha affermato Jonathan Coe in occasione dell'incontro con alcuni blogger presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, cui abbiamo partecipato, per presentare il suo nuovo romanzo, ''Expo 58'', e rispondere alle loro domande...
In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Expo 58”, l’autore ha incontrato alcuni blogger presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per parlare del libro e rispondere alle loro domande
MILANO – Tutti i suoi romanzi sono i capitoli di una storia più complessa, che si dipana dall’uno all’altro e ha al suo centro la ricerca di sé, della propria identità. È quanto ha affermato Jonathan Coe in occasione dell’incontro con alcuni blogger presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, cui abbiamo partecipato, per presentare il suo nuovo romanzo, “Expo 58”, e rispondere alle loro domande. Il libro è una spy story ambientato ai tempi dell’Expo di Bruxelles del 1958, in pine Guerra Fredda. Il protagonista, Thomas, impiegato presso il Central Office of Information di Londra, viene mandato in Belgio con l’incarico di sovrintendere alla gestione del pub Britannia, all’interno del padiglione inglese. È così che si ritrova involontariamente coinvolto in un intrigo internazionale di cui diventa una pedina.
Lei ha raccontato in un’intervista che il nucleo di questo libro è nato dopo un suo viaggio in Belgio, in particolare dopo aver visto l’Atomium a Bruxelles [architettura in acciaio composta da nove sfere e rappresentante un cristallo di ferro, costruita in occasione dell’Expo 1958]. È la prima volta che viene così suggestionato da un architettura?
Tutto quello che si legge di me nelle interviste non è vero [scherza]. Quanto a questo dettaglio però, sì, è andata proprio così.
In effetti l’architettura non è mai stato un argomento di particolare interesse per me, è un tema di cui ho iniziato a occuparmi soltanto negli ultimi anni. Normalmente sono più interessato alle persone e ai problemi sociali come fonte di ispirazione. 
L’Atomium però mi ha colpito in modo particolare, mi ha dato una forte reazione emotiva. Mi ha subito fatto pensare al tema del tempo, che è un tema fondamentale in tutti i miei romanzi. Si tratta di un’architettura che esprime allo stesso tempo un legame con il passato e una speranza per il futuro, è un simbolo di un’auspicata nuova unità. Questo dettaglio mi ha commosso. L’Expo 58 non è stata soltanto una fiera commerciale, ma anche una manifestazione animata da significati idealistici. L’Expo 2015 sarà sicuramente un evento più cinico. 
La chiave di lettura di questo romanzo è il tema della ricerca di identità, che si trova ben espresso laddove si legge “Non sappiamo bene chi siamo finché non sopravviene una nuova circostanza a rivelarcelo”. È proprio quello che succede a Thomas, il protagonista, che fino alla fine del libro non è ben consapevole di chi sia veramente e al termine della storia si scopre diverso da quello che credeva all’inizio…
I miei libri – sono ormai al decimo romanzo – sono tutti legati uno all’altro, sono come capitoli di una storia più complessa che si dipana da uno all’altro. E la chiave centrale di lettura dell’intero mosaico è proprio la ricerca di identità, la scoperta di se stessi. 
Man mano che invecchio questa ricerca si rivela sempre più complessa, mi porta sempre più indietro nel tempo. Ciò che siamo è determinato non soltanto dalle circostanze, come si dice nel passaggio citato, ma da tanti aspetti diversi: dalla genetica, dal nostro rapporto con i genitori, dalla nostra infanzia. 
“Expo 58” comunque non è un romanzo dai confini fissi, ben definiti, ma ha anzi contorni sfocati: è una scelta deliberata da parte mia, per lasciarmi aperta la possibilità di tornare su alcuni aspetti della storia con romanzi successivi. La storia della madre di Thomas, per esempio, fuggita dal Belgio a Londra all’epoca della prima guerra mondiale, è appena accennata. E anche il passato del protagonista è illuminato solo per brevi flash.
A suo padre è dedicato il romanzo. C’è forse qualcosa anche della sua storia famigliare che è confluito qui?
Ho dedicato il libro a mio padre perché è morto prima di poter finire di leggerlo. È un vero peccato: in genere mio papà non apprezzava i miei romanzi, ma questo gli stava piacendo. Qualche riferimento potrebbe effettivamente esserci: lui era uno scienziato, e negli anni Quaranta e Cinquanta lavorava alla ricerca di energie alternative, si era anche interessato alle ricerche sulla fusione nucleare. Lui si ricordava delle discussioni e delle polemiche  di quei tempi, credo si sia rivisto nell’atmosfera del romanzo.
Il tema della ricerca dell’identità e il suo complesso rapporto con la questione del tempo non riguarda soltanto i personaggi. Nel romanzo lei tratteggia un ironico ritratto degli organi di governo britannici impegnati a discutere, in vista dell’Expo, su quale immagine del Paese si debba dare all’estero, su come si possa valorizzare il legame con la tradizione e allo stesso tempo dare un’impressione di modernità. Come vede il nostro mondo di oggi, e quindi come crede che sarà l’Expo del 2015 a Milano, più proiettata verso il futuro o più ancorata al passato?
L’identità è un concetto fluido, dinamico, che cambia nel tempo. Quello che secondo me si dovrebbe cercare di trasmettere a un’esposizione internazionale è un riflesso del presente, l’identità del momento, inerente a quell’epoca storica e quel dato Paese. 
Un Expo è sempre una sfida, un’occasione per ciascuna nazione di esprimere il proprio senso di identità in maniera autentica, vera, onesta, non soltanto in maniera propagandistica. Chiedo quindi a voi se pensate che l’esposizione del 2015 sarà in grado di assolvere  a una tale funzione, se saprà esprimere in maniera vera e autentica l’identità italiana.
Lei dà una descrizione molto dettagliata dell’Expo 58, dei suoi padiglioni. Può dirci qualcosa del lavoro di documentazione che sta dietro a questo romanzo?
Ho letto diversi libri – ce ne sono molti su Expo 58, prevalentemente in francese. Ho anche studiato carte e documenti, e raccolto le testimonianze sia di persone che parteciparono a quell’evento sia dei loro figli e nipoti: per i belgi è stato un evento molto significativo, di cui parlano volentieri.
E per quanto riguarda la spy story, quali sono i suoi modelli?
In realtà ho visto molti film di spionaggio, in particolare quelli di Hitchcock. 
Dato che si tratta di una storia di finzione e dato che lo stesso Thomas si rende conto di vivere in un mondo finto, di facciata, anziché attenermi accuratamente al dato storico ed essere troppo realistico, ho voluto che questo libro fosse un libero esercizio di fantasia. Per questo l’influenza cinematografica piuttosto che quella letteraria ha giocato un ruolo particolarmente forte.
Pensa che il romanzo storico oggi abbia una funzione morale o che il dato storico sia semplicemente una fonte di ispirazione narrativa?
Io credo che ogni buon romanzo debba avere una funzione morale e sociale: deve aiutare il lettore a immaginare più liberamente. In questo senso, ogni atto di scrittura e lettura è un atto politico in sé. 
Quando ero un giovane scrittore avevo una visione più ingenua, semplicistica del rapporto tra romanzo e realtà. Mi spazientivo quando un autore non arrivava subito al punto e non affrontava di petto le questioni politiche e sociali brucianti. Poi mi sono reso conto che questa stessa funzione ci può realizzare, e talvolta più efficacemente, in maniera più sottile, indiretta, andando a pescare anche in altre epoche storiche. “Expo 58”, benché collocato nel passato, ha dei rimandi che riecheggiano il presente, che ci chiamano a riflettere sul presente. Non ho voluto però, con questo invito alla riflessione, risultare pedante, ho cercato di mantenere sempre un tono di leggerezza. 
Il lettore attento si accorge che alcuni personaggi che appaiono qui sono gli stessi di un suo precedente romanzo, “La pioggia prima che cada”, un libro molto diverso da questo nel tono, uno dei suoi libri meno “politici”. Perché tornare sui personaggi di quel romanzo proprio qui, dove invece riemerge la sua vena più ironica?
Quasi nessuno, tanto tra i lettori quanto tra critici, si è accorto della connessione. Non è però che la cosa mi preoccupi particolarmente: non voglio che i collegamenti siano spudorati, ma che ci siano dei rimandi sottili. Come dicevo prima i miei romanzi sono capitoli di una stessa storia: l’intento è di creare un’architettura che mi permetta alla fine di tirare le fila e mostrare cosa profondamente accomuna tutti questi personaggi, benché molto diversi tra loro. Il fatto che ci siano personaggi che ritornano mi aiuta in questo compito. Certo, “La pioggia prima che cada” e “Expo 58” sono molto diversi nel tono, ma nascono pur sempre dalla stessa mene. Come autore cerco di rappresentare la vita, attraverso un quadro narrativo ampio fatto di chiari e scuri, e se “La pioggia prima che cada” rappresentava il lato più ombroso dell’esistenza, questo romanzo rappresenta invece quello più luminoso. 
4 settembre 2013
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