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Indro Montanelli, il romanzo del Novecento in persona

Il personale ricordo dello scrittore Paolo Di Paolo legato al giornalista toscano, scomparso 15 anni fa, vera icona del ‘900 italiano

MILANO – Una sorta di sussidiario impazzito del ‘900 italiano. E’ possibile riassumere con questa definizione la figura di Indro Montanelli secondo lo scrittore Paolo Di Paolo. Il giornalista e finalista Strega 2013 ha già analizzato la figura del giornalista toscano all’interno dell’ebook “Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era” ed è tra le voci protagoniste del docufilm “Indro-L’uomo che scriveva sull’acqua“, in onda stasera su Sky Arte e diretto da Samuele Rossi con Roberto Herlitzka (Montanelli vecchio) e Domenico Diele (Montanelli giovane). Indipendenza, profondo sentimento dell’anticonformismo, del rispondere a ciò che si scrive solo con la propria firma e la propria faccia, rispondendo di ciò che si scrive solo al lettore. Sono state queste le caratteristiche imprescindibili di Indro Montanelli. Ecco l’importanza della sua figura secondo lo scrittore Paolo Di Paolo.

 

“La prima cosa che mi viene in mente su Indro Montanelli oggi è legata ad una coincidenza: il fatto che Montanelli muore mentre a Genova infuria la battaglia del G8. Il telegiornale della sera del 22 luglio dava come prima notizia la morte di Montanelli e come seconda l’indagine sulla morte di Carlo Giuliani. Queste due notizie, che non hanno nessuna relazione, in un modo del tutto accidentale si sono trovate a condividere lo spazio mediatico quella sera.

E’ curioso, perché Carlo Giuliani e Indro Montanelli erano su fronti del tutto opposti per generazione, esperienza, visione del mondo. Fa impressione ripensarci quindici anni dopo, e se uno volesse “cucire” arbitrariamente queste due morti, troverebbe la fine del XX secolo con la morte di Montanelli e l’inizio del secolo nuovo con le giornate di Genova e la morte di Giuliani – tutto nel giro di poche ore.

Montanelli, in una delle ultime interviste rilasciate all’Espresso all’inizio del 2001, parlava in modo sorprendente di un necessario rifiuto dell’omologazione, da lui definita “la pappa unificante dei nostri tempi”. Secondo lui, reazioni alla globalizzazione sono istintive, non possono essere arginate. “Io stesso penso – diceva Montanelli – che la società a volte possa essere cambiata solo con le bombe”. Lì veniva fuori un Montanelli anarchico, che avrebbe sorpreso gli stessi manifestanti di Genova. Ciò ci aiuta a pensare quanto Montanelli sia stato un uomo molto discusso, imprevedibile in tutte le sue scelte, con un carattere anticonformista.

Probabilmente oggi i ventenni non lo conoscono, coloro che vogliono fare i giornalisti probabilmente lo hanno sentito appena nominare. Ci sono elementi della vita di Montanelli che restano ancora molto interessanti. Anche laddove la sua biografia ha toccato punti nevralgici del secolo scorso in modo discutibile (la sua iniziale adesione al fascismo, la sua partecipazione alla campagna d’Etiopia), oggi rileggere la sua vita significa ripercorrere le tappe salienti dell’intero XX secolo.

Montanelli ha raccontato tutti i grandi eventi del Novecento, la guerra di Spagna nel ’35, i fatti di Ungheria del ‘39, quelli di Budapest del ’56, ha intervistato i Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ha incontrato Perón e Salazar, ha dialogato con Anna Magnani e Totò. Non c’è stato un protagonista del secolo scorso, italiano ed internazionale, che lui non abbia sfiorato. Tutto ciò gli dà, come a Oriana Fallaci, una luce leggendaria.

E come Oriana Fallaci, toscana e dal carattere rissoso quanto lui, Montanelli rappresenta un giornalismo che oggi non è più dato, dove l’ “io” stesso del giornalista, la sua prospettiva diventava un punto di forza, non un limite. Un giornalismo indipendente e fazioso, tendenzioso, ma con un’indipendenza di giudizio assoluta.

Se dovessi dare un consiglio, direi di cominciare a leggere il Montanelli degli “Incontri”, di quegli articoli che oggi sono meno deperiti rispetto all’attualità. In questi articoli, si nota una straordinaria capacità di cogliere un carattere, uno stato d’animo, di entrare nel mondo dell’interlocutore, restituendolo in maniera non tanto diversa da quella, che so, di un Truman Capote o di un Tom Wolfe.”

 

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