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Il tema spinoso dell’anoressia nell’ultimo romanzo di Alessadra Arachi, “Non più briciole”

Alessandra Arachi, giornalista del Corriere della Sera, ha esordito come autrice di narrativa con il romanzo “Briciole. Storia di un’anoressia” (Feltrinelli, 1994); ha scritto anche, fra l’altro, “Lunatica. Storia di una mente bipolare” (Rizzoli, 2006) e “Coriandoli nel deserto” (Feltrinelli, 2012). Il suo romanzo più recente è Non più briciole (Longanesi, 2015).

 

Alessandra, temi non facili quelli che hai scelto per i tuoi libri: anoressia, bipolarismo, i ragazzi di via Panisperna… La narrativa sembra, nella tua produzione, un’evoluzione naturale del quotidiano esercizio della scrittura. Attingendo alla realtà costruisci storie romanzate: ti sembra una definizione corretta, pur con i limiti tipici delle semplificazioni?

Quando si narrano storie inevitabilmente si attinge alla realtà che talvolta – come si dice – è superiore a qualsiasi più fervida fantasia. Nel mio caso i temi non facili poggiano anche su esperienze personali, sebbene romanzate ad arte, come per la storia dell’amico di infanzia di Enrico Fermi, Enrico Persico, cresciuto all’ombra del genio e impotente davanti alla tragedia della bomba atomica.

 

Non più briciole è un romanzo controcorrente. Cioè contro il luogo comune dell’onnipotenza materna che, nell’immaginario collettivo, è l’origine di ogni bene e di ogni male. Figlie anoressiche? È colpa delle madri. Bambini autistici? È colpa delle madri. Per converso, se i figli se la cavano decentemente nella vita si loda il buon lavoro che ha fatto la madre (e il padre, nel bene e nel male, dov’è?). La madre patogena e taumaturgica, due polarità tra le quali le donne in carne e ossa rimangono schiacciate. Dopo aver già trattato dell’anoressia nel tuo primo romanzo, Briciole, cosa ti ha spinto a riproporre questa spinosa tematica, stavolta dal punto di vista di una madre? Cosa è cambiato in questi anni nella tua visione di questa patologia?

Quando ho cominciato a fare le ricerche per scrivere Non più briciole non credevo che sarei arrivata a trovare aberrazioni come quelle che ho poi trovato realmente. Perché non soltanto si è arrivati ad incolpare le madri di generare una malattia mentale come l’anoressia, ma c’è chi ha voluto inventare per le madri archetipi davvero assurdi. Lacan aveva ideato la madre coccodrillo? I suoi seguaci hanno usato questo archetipo per adattarlo alla madre dell’anoressica (accostamento che Lacan non aveva fatto) e hanno rilanciato nella maniera più becera. Le mamme delle anoressiche sono diventate quindi mamme “pattumiere viventi”, “aspiratutto giganti”, “orche assassine”, “balene divoratrici”. È stato soprattutto per aberrazioni come queste che ho voluto scrivere di nuovo di anoressia, una patologia che negli ultimi vent’anni è rimasta sostanzialmente invariata. Ciò che invece è profondamente mutato è il contesto che circonda l’anoressia: è diventata una patologia di moda, mediatica. E inevitabilmente si sono moltiplicati i ciarlatani che se ne occupano. Per fortuna ci sono anche molti medici ed esperti in gamba, ma bisogna avere la fortuna di trovarli: Marta, la mamma del mio libro, è un po’ un Cicerone da questo punto di vista.

 

Uno dei compiti fondamentali della madre è nutrire. Per questo, credo, viene spontaneo stabilire una correlazione fra i disturbi alimentari e il rapporto madre/figlia. Il tuo libro sembra dire: andiamoci piano, non fermiamoci a questa facile equazione. Le cose sono sicuramente più complicate, ma forse la verità è che delle cause di alcuni disturbi ancora non si sa nulla di certo?

La madre è il nutrimento primario del bambino. E certamente se la madre trasmette al proprio piccolo un cattivo rapporto con il cibo questo avrò un riflesso nella vita del figlio. Ma bisogna stare molto attenti: generare un cattivo rapporto con il cibo non significa generare una malattia mentale. Per troppo tempo si è considerata l’anoressia con leggerezza e superficialità. Per troppo tempo nessuno ha mai investito fondi per la ricerca e per scoprire le vere cause di questa malattia che rimane ancora enigmatica. Ora qualche studio si sta facendo e io sono convinta che ci porterà ad individuare cause organiche e genetiche per l’anoressia.

 

I medici, gli psicologi, gli psichiatri e gli specialisti vari non ne escono molto bene. Incapaci di vero ascolto, con una loro piccola o grande ossessione diagnostica già pronta da scodellare. Ne hai conosciuti molti così?

L’ho già detto prima: il fatto che l’anoressia sia diventata una malattia di moda, mediatica, ha fatto sì che fiorissero attorno alle malate ciarlatani ed esperti improvvisati. Marta, la mamma del mio libro, ne incontra tanti ma li manda sistematicamente a quel paese o, addirittura, arriva a denunciarli ai carabinieri. Ma per fortuna ci sono anche tanti esperti molto bravi e – va detto – tanti centri molto seri per la cura dei disturbi alimentari: i migliori sono quelli del servizio pubblico. La nostra sanità conta in questo campo delle vere e proprie eccellenze.

 

Cosa legge Alessandra Arachi?

In questo momento sul comodino ho un libro di Emanuel Carrère: Limonov.

 

Stai scrivendo un altro romanzo o ti riposi un po’?

Per adesso sto seguendo i passi di Non più briciole. È ancora piccino.

 

Grazie, Alessandra, per il tuo tempo e le tue risposte.

 

Rosalia Messina

26 settembre 2015

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