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Erri De Luca, “Nessuno può insegnare il rapporto padre-figlio”

Erri De Luca torna in libreria con "A grandezza naturale", un libro in cui lo scrittore analizza con il suo sguardo personale il rapporto di un genitore con il figlio

I ragazzi hanno perso un anno di socievolezza, non sostituibile dalle relazioni via schermo. Ciò ha inciso sui loro progetti, mortificando lo spirito d’indipendenza e l’urgenza di viaggiare. E’ questo il pensiero di Erri De Luca, scrittore tornato in libreria con “A grandezza naturale“, un libro in cui lo scrittore analizza con il suo sguardo personale, con la sensibilità esperta e soprattutto con la prosa essenziale e stratificata, il rapporto cardinale alle origini dell’umanità e di ogni storia che si voglia raccontare: quello di un genitore con il figlio. Un rapporto “unico perché è nuovo e irripetibile, principiante ogni volta da capo”, che “nessuna pedagogia può addestrare”.

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Partiamo dal titolo del libro. A cosa si ispira e fa riferimento il titolo “A grandezza naturale”?

Un quadro a olio dipinto da Marc Chagall raffigura suo padre a grandezza naturale. Lo dipinge a Parigi, lontano da lui e dal suo villaggio. Così incontra suo padre, venditore di aringhe, da cui si è sciolto anni prima. Col quadro si rilega a lui, col quadro compie un atto religioso. Perciò ho alternato il racconto a quello di Abramo e Isacco, il più estremo rapporto carnale tra un padre chiamato a sacrificarlo e un figlio che obbedisce senza una parola, un gesto di ribellione. Il titolo stabilisce questa grandezza naturale tra genitori e figli.

Erri De Luca, cosa l’ha spinta a scrivere un libro di cui lei è “estraneo a metà”, non avendo mai avuto un figlio?

Sono rimasto figlio, avendo superato l’età in cui è morto mio padre, essendo un suo coetaneo, sono rimasto suo figlio, parte di un nodo che non si scioglie neanche con la sua morte. Ho racimolato storie di rapporti conflittuali tra generazioni e ci ho infilato qualcosa di mio, un punto di vista parziale, non panoramico. Non è stato un progetto meditato, ho cominciato con un primo racconto e gli altri sono venuti in fila indiana, uno dopo l’altro.

Quali sono le storie estreme protagoniste nel libro?

Oltre a quelle già nominate c’è quello tra un criminale nazista e sua figlia che scopre a vent’anni chi è suo padre. C’è quello tra una prigioniera e sua madre, al cui funerale va da ammanettata. C’è quello tra l’uomo crocifisso e suo padre che non interviene a scioglierlo dal palo del supplizio. Ora siede alla destra, dice la preghiera. A quella destra che si è trattenuta dall’intervenire.

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Cosa rende unico e caratterizza il rapporto tra genitori e figli?

Unico perché è nuovo e irripetibile, principiante ogni volta da capo. Nessuna pedagogia può addestrare a questa avventura, nessuna storia precedente può fare da magistra vitae.

La vita debutta vergine ogni volta.

Come cambia e si modifica questa relazione nel corso del tempo?

Nella crescita si svolge la profonda dinamica tra obbedienza e ribellione, traversando vari stadi dipendenti da caratteri e da ragioni diverse. Quel nodo piano ben serrato che sta in copertina deve allentarsi per consentire ai figli di inaugurare la loro variante. Anche in caso di rottura, resta il dolore a confermare il nodo.

Nell’ultimo anno la relazione genitori figli è stata messa alla prova da una convivenza forzata nell’arco di tutta la giornata a causa del lockdown. Può questo essere stato un bene per conoscersi meglio, o questo può essere stato un danno venendo a mancare rispetto al passato i reciproci spazi e tempi privati?

È stato un anno di isolamento dei giovani dai propri coetanei, un anno di socievolezza perduta, non sostituibile dalle relazioni via schermo. Si chiamano virtuali, ma non sono d’accordo, sono anch’esse reali, però prive di quelle relazioni di sguardi, di silenzi, di gesti che sono fuori dell’inquadratura. I vecchi, gli anziani, sono abituati alle tristezze, i giovani no. Questa epidemia incide su di loro, sui loro progetti, mortificando lo spirito d’indipendenza e l’urgenza di viaggiare.

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