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Eleonora Mazzoni, ”Il mondo della fecondazione assistita è infestato da pregiudizi”

Tutti i desideri nel momento in cui non si realizzano rischiano di trasformarsi in ossessioni, soprattutto nella nostra società che li ha sacralizzati e che ci giudica in base al nostro 'farcela' o 'non farcela', e tanto più il desiderio di un figlio, così enorme e unico, da toccare in maniera profonda l'identità femminile. E’ questo il pensiero di Eleonora Mazzoni...

L’attrice e autrice è al suo romanzo d’esordio con "Le difettose", uscito per I coralli di Einaudi

MILANO – Tutti i desideri nel momento in cui non si realizzano rischiano di trasformarsi in ossessioni, soprattutto nella nostra società che li ha sacralizzati e che ci giudica in base al nostro "farcela" o "non farcela", e tanto più il desiderio di un figlio, così enorme e unico, da toccare in maniera profonda l’identità femminile. E’ questo il pensiero di Eleonora Mazzoni, attrice ed autrice al suo romanzo d’esordio con "Le difettose". Uscito per I coralli di Einaudi, il libro sta riscuotendo un buon successo sia di pubblico (10.000 copie vendute e 2 ristampe) sia di critica. Sono stati opzionati i diritti cinematografici  e nel 2014 circuiterà anche come spettacolo teatrale, con Emanuela Grimalda, per la regia di Serena Sinigallia.

Da cosa nasce l’idea di questo libro?

Il romanzo, pur non essendo autobiografico, nasce dalla mia esperienza di non riuscire ad avere il figlio che desideravo e di tentare di porre rimedio ai difetti della natura grazie alle tecniche di procreazione assistita. In questo mio personalissimo viaggio ho scoperto un mondo "popoloso" (ormai una coppia su quattro soffre di problemi legati all’infertilità), trasversale dal punto di vista sociale, culturale, geografico e anagrafico, vitalissimo, eccentrico, ricco di storie ma ancora poco raccontato. In più mi sembrava di avere la possibilità di riflettere anche sul grande tema dei desideri. Sulla difficoltà di esaudirli, sul perché li perseguiamo e pagando quali prezzi, perché e quando li abbandoniamo. Perché la nostra volontà non basta a realizzare quello che ci prefiggiamo. E che rapporto instauriamo con quell’imponderabile che regola le vicende umane, che possiamo chiamare sorte, destino, karma, Dio. O fortuna, come lo definivano i latini, tanto amati da Carla, la mia protagonista.

L’opera affronta il tema della fecondazione assistita. Lei condivide il modo di pensare della protagonista?
Sì, anche se il romanzo non è né un pamphlet né un libro a tesi, condivido il punto di vista di Carla, laico, umano, rispettoso della vita, dietro cui fa capolino quello di Seneca, suo autore preferito e guida spirituale. Mi sembrava un punto di vista molto opportuno per un argomento così spinoso, delicato e infestato da pregiudizi. Flaubert parlava di un periodo storico, tra Cicerone e Marc Aurelio, in cui gli dei antichi non erano più e Cristo non c’era ancora, in cui esisteva l’uomo, solo. Ecco. Ho cercato di collocare la mia angolazione da quelle parti.


Le donne di oggi sono più fragili o più dure rispetto ad un tempo?

Le donne oggi sono forse più esigenti. Ma i sentimenti sono gli stessi. Quando si dice che un tempo le donne sterili si mettevano il cuore in pace con maggiore facilità è una stupidaggine. "Dammi dei figli sennò muoio", dice Rachele a Giacobbe nella Bibbia. E’ lo stesso dolore acuto, la stessa sensazione di subire un’ingiustizia che trapela oggi nei tantissimi forum di donne che non riescono a procreare. Magari erano le soluzioni ad essere diverse. Nelle epoche passate i figli si adottavano "artigianalmente" (se una donna aveva otto figli e la vicina di casa nessuno, due erano affidati a quest’ultima) o si rubavano (come in un certo senso fa Rachele: "Ecco la mia serva Bila. Entrale dentro. Partorirà sulle mie ginocchia e per mezzo suo avrò anch’io dei figli").

Le rivolgo la domanda presente in copertina: volere un figlio a tutti i costi può creare dipendenza?
Tutti i desideri nel momento in cui non si realizzano rischiano di trasformarsi in ossessioni. Tutti. Soprattutto nella nostra società che li ha sacralizzati e che ci giudica in base al nostro "farcela" o "non farcela". Tanto più il desiderio di un figlio, così enorme e unico, difficilmente surrogabile, che va a toccare in maniera profonda l’identità femminile, e ne è una delle sue espressioni più complesse, creative e ambivalenti.

Il libro presto sarà spettacolo teatrale e ne sono stati opzionati i diritti cinematografici. Cosa ne pensa della trasposizione dal “cartaceo” al grande schermo? Teme che non venga riportato tutto in maniera coerente?
Per quel che concerne lo spettacolo teatrale sono tranquilla ed eccitata nello stesso tempo. Stimo tantissimo sia Emanuela Grimalda, l’attrice che interpreterà i vari personaggi, sia Serena Sinigaglia, la regista. In più sto curando personalmente l’adattamento, ed è un vero e proprio lavoro di riscrittura, con tagli, aggiunte, punti di vista nuovi. Una fortuna. In genere quando un libro viene pubblicato rimane fissato per sempre. Questo adattamento mi ha dato la possibilità di rielaborare il testo, ripensarlo, cambiare, arricchire, alla luce anche di questo anno e mezzo in cui è uscito il romanzo, delle tante presentazioni che ho fatto, delle persone che ho conosciuto e che mi hanno scritto.
Per quanto riguarda invece il grande schermo sono curiosa di vedere cosa succederà, come si incarnerà la storia, che volti avranno i miei protagonisti. Anche se sarò nella squadra degli sceneggiatori, so che avrò meno voce in capitolo, perché il cinema è l’arte collettiva per eccellenza e la lavorazione di un film, come diceva Truffaut, "somiglia al percorso di una diligenza nel Far West: all’inizio uno spera di fare un bel viaggio, poi comincia a domandarsi se arriverà a destinazione. Io, prima di cominciare a girare, desidero soprattutto fare un film che sia bello. Non appena sorgono le prime grane devo ridurre le mie ambizioni, augurandomi che io riesca a finire il film".

4 ottobre 2013

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