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Dacia Maraini: “La mia infanzia nei campi di concentramento per un No in nome della libertà”

Intervista a Dacia Maraini in occasione dell'uscita del suo libro "Vita mia", un racconto autobiografico in cui l'autrice rivela un NO vissuto come gesto di rifiuto assoluto e coraggioso in nome della fedeltà a se stessi e amore per il valore più alto della vita: la libertà.

“Non voglio fare il racconto della mia vita, ma rilevare l’importanza che prende la parola “Vita” in momenti di pericolo e di terrore.”

Dacia Maraini, candidata più volte al Nobel per la letteratura e vincitrice dei prestigiosi premi nel 1990 del Premio Campiello e nel 1999 del Premio Strega, è da sempre donna sensibile e attenta alle tematiche sociali che ha saputo costruire ponti culturali condividendo i valori universali che riguardano la sacralità della persona umana.

Voce rilevante della narrativa internazionale, l’autrice Dacia Maraini è tornata in libreria con il suo libro più intimo “Vita mia” edito per Rizzoli: il racconto di un periodo storico spaventoso tenuto chiuso per decenni in un cassetto della memoria, un NO vissuto come gesto di rifiuto assoluto e coraggioso in nome della fedeltà a se stessi e amore per il valore più alto della vita: la libertà.

Vita Mia

In una cronaca vivida, dolorosa, commista a pagine di speranza, di incredulo stupore, attraverso gli occhi di una bambina ripercorriamo i due anni di isolamento in prigionia di Dacia e della famiglia Maraini unita dal rifiuto assoluto del razzismo, della guerra e di ogni forma di oppressione e violenza.

Un libro intenso in cui attraverso la narrazione di Dacia Maraini, il dolore si fa materia nella coscienza e nel cuore di chi, pagina dopo pagina legge nei suoi ricordi che affida e imprime nell’inchiostro la disperazione, la paura, la fame, la reazione del corpo e della mente in quel processo inconscio che è la sopravvivenza.

Uno sguardo nel passato per non dimenticare gli orrori del Novecento e per onorare il coraggio, la fedeltà alle idee, il rifiuto netto del razzismo di una famiglia che ha lasciato il segno nella Storia, e di chi come loro ha lottato per la libertà di tutti.

Il “No” in nome della libertà

È il 1943 il Giappone stringe un patto con l’Italia della Repubblica di Salò e con la Germania Nazista. Quello scenario socio-politico, prenderà un risvolto apocalittico, coinvolgendo con la forza di un rip current anche le vite fino a quel momento spensierate di Dacia Maraini, una bimba di sette anni, che con la mamma Topazia Alliata, suo padre Fosco, antropologo e ricercatore presso l’università di Kyoto e insieme alle sorelline Toni e Yuki, vivono stabilmente in Giappone perfettamente integrati con gli usi e i costumi della città.

Il sogno di un’imminente pace sfuma quando Fosco e Topazia vengono convocati in caserma e fatti accomodare in uffici diversi. La polizia li accusa di essere traditori mettendoli davanti a una scelta netta: aderire alla Repubblica di Salò o confinarli in un campo di prigionia insieme alle loro tre creature.

Con la forza delle parole e il coraggio delle idee pronunciano con fermezza: “No”, “Non siamo traditori, abbiamo idee diverse”.

Un gesto di rifiuto assoluto in nome della fedeltà a se stessi e amore per il valore più alto della vita: la libertà.

La coppia e le loro bambine vengono portate in un campo di concentramento riservato ai traditori della patria.

Per la famiglia di Dacia Maraini cominciano gli anni più difficili della loro esistenza che li metterà davanti alla feroce e spietata disumanità di cui l’uomo può essere capace.

Non solo gelo, malattie, maltrattamenti, umiliazioni, paura, i morsi della fame… Dacia, Toni e Yuki non avevano diritto alla loro porzione di riso ma ogni prigioniero era costretto a dar loro un cucchiaino dalla loro già misera porzione.

In un estremo gesto di disperazione e al tempo stesso di ribellione alle leggi del campo Fosco, che conosceva profondamente l’antico rituale giapponese dello yubitsume o yubikiri (far volare il dito o taglio del dito), si amputò una falange del dito lanciandola al kazuya del campo, creando così in lui un’obbligazione. Successivamente il soldato consegnò una capretta affinché le bimbe potessero nutrirsi.

Per Dacia Maraini e le sorelle l’angoscia per il destino e la fame vengono distratte con “la favolistica giapponese, sempre sospesa fra le visioni e la realtà analizzata con chirurgica consapevolezza” ma anche dalla confortevole e amorevole voce della loro mamma che narrava, all’ombra di un isolato albero di ciliegio, le favole del burattino Pinocchio e di Alice nel paese delle meraviglie.

L’intervista a Dacia Maraini

Dacia Maraini ci ha abituati alla profondità dei suoi occhi dalle sfumature marine, dall’espressione gentile, maternamente accudente ma nel percorre il suo intenso paesaggio emotivo insieme, quegli stessi occhi si trasformano naturalmente in specchi che si tingono di incandescente dolore.

Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Dacia Maraini in occasione dell’uscita del suo libro e a pochi giorni di distanza dalla Giornata della Memoria. Ecco di seguito la sua testimonianza.

Cosa ha significato per lei mettere nero su bianco e rendere disponibili ai lettori i suoi ricordi così particolarmente intimi dopo tanti anni dal loro verificarsi?

Sono anni che sto scrivendo questo libro. L’ho cominciato e poi lasciato, ricominciato e lasciato tante volte. Ora, in questo momento in cui soffiano venti di guerra ho capito che era arrivato il momento di finirlo e pubblicarlo.

Ritengo non sia casuale il titolo del libro Vita mia e non La mia vita, nel senso che dalla sua esperienza emerge il valore della vita di ciascun essere umano e la strenua difesa di essa sotto ogni punto di vista.

È proprio come dice lei. “Vita mia” è una definizione stilizzata. Non voglio fare il racconto della mia vita, ma rilevare l’importanza che prende la parola vita in momenti di pericolo e di terrore.

Considerato che la storia narrata è vista e descritta con gli occhi di una bambina sarebbe opportuno che, proprio per questo, sia offerta agli studenti per una ormai sempre più necessaria diffusione e crescita culturale, è d’accordo?

Sono d’accordo. D’altronde succede già in molte scuole dove mi chiamano ogni giorno per andare a presentare il libro agli studenti. C’è da parte degli insegnanti e degli studenti una grande voglia di capire.

Nelle manifestazioni sociali attuali riscontra tracce di difesa delle libertà, di presa di coscienza e di necessarie azioni coraggiose?

Stiamo vivendo un momento gravissimo, in cui si rischia la terza guerra mondiale. E forse ci siamo già dentro, come ha detto il papa. Importantissimo in questo momento cruciale tenere desta la capacità di ragionare, di agire con coscienza e responsabilità. Per esempio il voto.

Mi dispero quando vado nelle scuole e sento molti giovani che dichiarano quasi con orgoglio che non andranno a votare. Il voto non è un dovere ma un diritto che dovremmo difendere con le unghie e coi denti, e invece non ce ne curiamo.

Dovremmo ricordare come per secoli gli amanti della democrazia si sono battuti disperatamente per ottenere il diritto di voto. Una democrazia in cui il 60% degli aventi diritto non vota, rischia gravi pericoli.

Come si possono combattere, contrastare e superare gli ostacoli che la politica, ad esempio, sembra voglia continuare a far subire anche ai giovani per mantenere un controllo sistemico?

Basterebbe come ho detto votare con coscienza. So che la politica è poco amata in questo momento, ma la democrazia si basa sul consenso e come raccogliere il consenso se non ci si pronuncia secondo i nostri diritti e i nostri interessi?

La democrazia, per quanto conflittuale, per quanto confusionaria, è la forma più giusta di governo. Nella democrazia la libertà è garantita dalle istituzioni: il governo, la magistratura, la polizia, l’esercito, il sistema sanitario, la ricerca, i media, debbono esseri liberi di parlare e controllarsi l’un l’altro.

Quando diventano tutte dipendenti da una sola autorità abbiamo la dittatura e significa la fine della libertà di pensiero, di parola, di movimento. Troppi Paesi ancora nel mondo vivono sotto una dittatura che coltiva l’ignoranza, l’autoritarismo e la sistematica repressione della critica politica, sociale e culturale, per non parlare delle donne che vengono viste come nemiche pericolose da tenere sotto chiave.

Dovremmo difendere con tutte le nostre forze la democrazia. Eppure in questo momento sembra che tutti vogliano distruggerla.

Dacia Maraini, lei ritiene che la pedagogia moderna e, conseguentemente il corpo docente, si debbano ora più che mai porsi il fine di esaltare i veri valori di ciascuno già all’interno della scuola per un’autentica crescita culturale generale?

Sì, la scuola dovrebbe insegnare, oltre alla storia, la matematica, la lingua, un sistema di valori che abbiamo costruito nel dopoguerra e che deriva da quelle due belle conquiste che sono la Costituzione e la democrazia. Io proporrei delle lezioni sui diritti civili e naturalmente qualcosa sulla educazione ai sentimenti e ai rapporti umani.

di Maria Laura Chiaretti

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