Valerio Varesi, giornalista de La Repubblica (redazione di Bologna), ha esordito nella narrativa con Ultime notizie di una fuga (Mobydick, 1998), liberamente tratto dalla vicenda Carretta, cui hanno fatto seguito numerose altre opere, molte delle quali, edite da Frassinelli, hanno come protagonista il commissario Soneri, che ha ispirato la serie televisiva Nebbie e delitti. Ha vinto importanti premi letterari come il premio alla carriera Lama e Trama nel 2009 e il premio del Festival del Giallo e del Noir Mediterraneo nel 2011. La sua ultima opera è il romanzo Lo stato di ebbrezza (Frassinelli, 2015).
Valerio, ci ritroviamo per parlare di libri (di un tuo libro) a un anno e poco più dalla precedente intervista. La tua ultima opera, Lo stato di ebbrezza, è un romanzo in cui Domenico Nanni, giornalista e pierre, racconta in prima persona le sue vicende personali di ragazzo di sinistra sedotto pian piano dal clima dei pantagruelici anni Ottanta. Attraverso le memorie di questo sessantenne stanco, rifugiatosi in un privato regressivo, racconti decenni cruciali di storia italiana, dalla strage di Bologna in poi: la storia della sinistra e della sua vocazione alla sconfitta, dell’ascesa e del declino del craxismo, Mani pulite, la seconda Repubblica, la nascita della Lega, il G8 di Genova, l’epoca berlusconiana. In realtà è l’ultimo capitolo di una trilogia della quale ti invito a parlare.
È così. Ho iniziato la ricognizione del nostro passato prossimo con La sentenza, romanzando una storia vera ambientata in quello ‘stato nascente’ che è stata la Resistenza. Poi mi sono chiesto che cosa avesse fatto quella generazione che aveva tra i venti e i trent’anni il 25 aprile ’45 e da lì è nato Il rivoluzionario. Vi ho raccolto il nostro primo dopoguerra visto con gli occhi di una coppia di comunisti bolognesi in quella città che era la sede del più grande partito comunista dell’Occidente in un Paese che era stato fascista e aveva perso la guerra per di più ancora occupato dalle truppe anglo-americane. Il libro si ferma al 2 agosto 1980, la strage alla stazione di Bologna ultima tragica puntata della ‘strategia della tensione’. Mi restava da raccontare la contemporaneità ed è questo il compito che si è assunto Lo stato di ebbrezza, libro che contiene anche un necessario mutamento di cifra stilistica calibrata sul modello di Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline
Un romanzo storico, possiamo definirlo così questo tuo nuovo libro? Non che mi appassioni l’ingabbiamento delle opere letterarie all’interno dei generi, ma è uno di quegli aspetti per i quali i lettori mostrano sempre interesse e ci serve forse come pretesto per parlare ancora una volta del rapporto tra fatti storici e invenzione narrativa.
Possiamo definirlo anche un romanzo storico. Ma anche pamphlet, riflessione sulla contemporaneità, invettiva, mini-saggio… Credo che il libro sia molte cose a giudicare anche dalle definizioni che i lettori gli danno. Quindi è un testo che non si fa mettere facilmente in gabbia. Certo, riflette sulla storia recentissima tentando di estrarne un senso. In un’epoca sempre più dispersiva, dove le informazioni e gli accadimenti su scala globale ci confondono rendendoci incapaci di decifrare il nostro cammino, offro una possibile connessione tra gli accadimenti salienti accaduti nel nostro Paese.
Ho trovato molto interessanti anche i personaggi secondari del tuo libro, cioè tutti coloro (uomini e donne) con i quali Domenico Nanni percorre un tratto di strada. Persone con le quali ha relazioni affettive e/o d’affari più o meno loschi, con le quali dialoga, si scontra, ragiona, delle quali ascolta gli sfoghi e le invettive. Quando hai iniziato a scrivere Lo stato di ebbrezza avevi già in mente queste figure, che, come il protagonista e insieme a lui, assistono ai cambiamenti del Paese e in modo diverso vi si adattano, lo cavalcano o lo subiscono?
Non del tutto. Il romanzo è costruito come un flusso di coscienza del protagonista, ma alcuni suoi interlocutori erano previsti, a partire dalla compagna Susanna, dal cooperatore Calcaterra, dal giornalista Cavicchi, fino al comunista coerente Tugnoli. Il resto è venuto cammin facendo mano a mano che crescevano le esigenze di rappresentare i mondi attraversati da Nanni. Quindi il politico in carriera, il finto finanziere, il caporedattore o il maresciallo dei carabinieri… Quello che mi ha stimolato più di tutto, come già mi accadde ne Il rivoluzionario, è mischiare personaggi di finzione a personaggi realmente esistiti quali protagonisti della politica e della società italiana.
L’ultimo approdo di Domenico Nanni è un avvicinarsi alla religione e alla seduzione delle certezze. È una vicenda solo privata del protagonista, una sua personalissima evoluzione, o anche questa svolta è emblematica dei tempi?
No, non è solo una vicenda privata, ma uno spostamento progressivo del sentire degli italiani verso un orizzonte più autoritario, come una disperata ricerca del padre.
Certo, Nanni è uno che si ferma sempre un passo prima della soglia e non si butta mai. Già da aderente al movimento del ’77 era rimasto un po’ in disparte e nemmeno quando sposa Carmen crede che i valori piuttosto dogmatici di Comunione e liberazione possano mai essere i suoi. Non vi aderisce, ma pensa che siano necessari sul piano del funzionamento di una società allo sbando, troppo ‘liquida’ per poter reggere. Mi sembra la parabola di molti ex comunisti, vedi la vicenda di Fausto Bertinotti che ha visto in Comunione e liberazione esempi e spunti addirittura riconducibili ad alcune idee gramsciane.
Come sta il commissario Soneri? Lo vedremo ancora nelle tue pagine?
Sta bene. In autunno uscirà un volume che raccoglierà tre romanzi fra i primi usciti con lui protagonista. Precedentemente, in luglio, sarà la volta di È solo l’inizio, commissario Soneri abbinato a Repubblica-Espresso. Infine, nei primi mesi del 2017 sarà pubblicata la nuova avventura del commissario.
Lunga vita al commissario Soneri! Grazie, Valerio, per il tuo tempo e le tue risposte.
Lia Messina