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Claudio Ferro, autore di Come un killer al buio, ”un giallo che è anche una storia d’amore, che è anche un omaggio a Bruce Springsteen”

Claudio Ferro è autore di romanzi gialli, l’ultimo dei quali è Come un killer al buio, edito da Inkwell nel 2014...

Claudio Ferro è autore di romanzi gialli, l’ultimo dei quali è Come un killer al buio, edito da Inkwell nel 2014.

 

Claudio, ormai possiamo dirlo: scrivere narrativa non è per te una passione momentanea. Le tue opere adesso sono tante. L’ultima in ordine di tempo, Come un killer al buio, si svolge nelle atmosfere nebbiose che ricordano quelle dei film di Mazzacurati. Il piano delle indagini di polizia e quello della vita privata del protagonista − Carlo Fabbri, avvocato cinquantaseienne ben conservato, vedovo, padre di due amatissime figlie − si intrecciano strettamente: Carlo si innamora dell’ispettrice Lucia Fabian, che indaga sull’assassinio di una barbona. Non vogliamo svelare nulla della trama, ma ti chiederei di tracciare un ritratto psicologico dei due protagonisti come li hai immaginati.

Per prima cosa, fatti complimentare per la tua ultima fatica: da sempre sono sostenitore del fatto che gli anziani siano una risorsa, l’ho sperimentato nella mia vita, e il tuo romanzo rende giustizia a persone che hanno un ruolo fondamentale nella società. Titolari della memoria collettiva, bene essenziale per fondare una coesistenza di donne e uomini.

Venendo ai protagonisti di Come un killer al buio, cominciamo da Lucia.

È poliziotta per necessità, ma ama il suo lavoro, anche se non smette mai di essere psicologa. Consapevole di avere un complesso di Elettra, ma lo accetta anzi lo coltiva: rivivere con uomini più grandi il rapporto con il padre scomparso anzitempo non le crea problemi. È una donna forte, sicura, in pace con se stessa, cosciente dei limiti di quel sentimento chiamato amore, ma capace di gestirli e di apprezzarne quanto può raccogliere.

Carlo è un brav’uomo, colpito dalla perdita della moglie, e dal litigio “muto” con la sua primogenita che ne è scaturito.

Ma, per usare una metafora evangelica, è anche uno che ogni giorno prende la sua croce e se la carica senza vittimismi e senza allontanare da sé calici più o meno amari.

È un generoso: non esita a mettersi in gioco pericolosamente per aiutare il “quasi genero” e segue le indagini non solo perché innamorato di Lucia ma anche per un senso autentico di solidarietà umana, vorrei dire di pietas, per la vittima, una barbona, cui la vita ha dato veramente carte perdenti.

Sono due persone normali, due che potremmo trovare nel giro delle nostre conoscenze.

Due di noi.

 

Buoni e cattivi, guardie e ladri, delitto e castigo: gli autori mescolano in vario modo gli eterni ingredienti del romanzo giallo. In quest’ultimo libro, Claudio, ma anche in altre tue opere, sembra di cogliere una strisciante sfiducia nella possibilità che giustizia sia fatta, se non “aiutata” con qualche espediente non ortodosso. I buoni vogliono fortemente la punizione dei cattivi e finiscono per commettere qualche scorrettezza per raggiungere lo scopo. Vuoi parlare della tua idea di giustizia?

Strisciante sfiducia nella giustizia è un eufemismo degno della tua eleganza. La mia idea di giustizia è molto semplice, forse infantile: per me lo Stato è qualcosa che mi deve incutere un lieve metus e darmi un senso di protezione. Se manca uno solo di questi elementi (ma soprattutto se manca il secondo) non ha senso mantenere una pesante e costosa sovrastruttura.

Guardiamoci intorno, pensiamo alla vita di tutti i giorni e domandiamoci se lo Stato merita il nostro timore reverenziale e la fiducia che ci si pone in chi sai che ti protegge.

Non è un discorso contro la magistratura: le storture nascono ben prima del processo, nel processo semmai se ne aggiungono altre, ma il danno è già fatto a monte.

Per questo continuo a dire che il “mio” personaggio è ancora Giorgio Carbone, il capo di Lucia.

Protagonista in Nessuno muore per sempre e in La luger del Capitano Harald, qui lo ritroviamo in secondo piano, pronto a intervenire a supporto della sua collega più giovane e meno esperta.

E pronto sempre a truccare le carte, se queste portano a punire i buoni e premiare i cattivi.

Io non uso l’”io” narrante, preferisco la prosa di Cesare, in terza persona; ma come ogni autore, sono presente nei miei personaggi, e in uno in particolare, e se mi cercate, mi trovate in Giorgio Carbone.

 

Hai mai pensato di creare un personaggio seriale, un investigatore (o investigatrice), al quale poi il pubblico potrebbe affezionarsi? O temi la ripetitività, l’imbrigliamento della creatività?

Ho iniziato a scrivere avendo come protagonisti Nicola Corsi e la sua socia Ingrid; ma la maggior parte dei romanzi in cui agisce questa strana coppia sono rimasti allo stadio di inedito. Ora ho cambiato personaggi e sembra andare bene. Ma le tensioni, gli ideali, le paure, le debolezze sono sempre le stesse. Non credo che usare gli stessi personaggi imbrigli la creatività. Se poi, uno si accorgesse che sta succedendo, allora …

 

Cosa leggeremo di tuo, dopo Come un killer al buio?

Quando mi hai intervistato all’uscita de La Luger del Capitano Harald, mi hai fatto la stessa domanda. E io ti ho risposto “un giallo che è anche una storia d’amore, che è anche un omaggio a Bruce Springsteen”. Ed è uscito Come un killer al buio. Direi che la domanda mi ha portato bene. Allora ti dico che in autunno potremmo parlare di un romanzo storico, ambientato a nove secoli e mezzo fa … che ne dici?

 

Fantastico! Mi piace molto l’idea di poter essere un portafortuna. Grazie, Claudio, per il tuo tempo e le tue risposte.

Grazie a te, Lia, e in bocca al lupo per il tuo splendido Gli anni d’argento.

 

4 aprile 2015

 

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