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Battle Royale, un libro giapponese “crudo”, come il sushi

Ne leggo parecchi di autori giapponesi, da Murakami a Yoshimoto a altri dal nome impronunciabile. E hanno tutti la stessa cosa in comune, sono terribilmente crudi come il loro amatissimo sushi.

Hanno una capacità di descrivere scene di omicidi che un film splatter non regge il confronto. Quindi immaginavo in cosa mi sarei imbattuta leggendo Battle Royale.

La storia è questa, il governo della Grande Asia dell’est organizza ogni anno un gioco in cui partecipano a estrazione delle classi terze medie. Fanno credere agli alunni di portarli in gita e invece vengono spediti su una delle migliaia di piccole isolette dell’arcipelago giapponese.

Lì il gioco è uccidersi a vicenda e l’unico vincitore verrà portato dal dittatore in persone per i più grandi e sentiti complimenti.

Questa volta capita a una classe di 21 ragazzi e altrettante ragazze. A ognuno viene dato un sacco con un’arma e qualche scorta di cibo, una mappa del posto e un collare dotato di gps infrangibile e con una piccola carica esplosiva pronta a partire in caso di fuga o di ingresso in zone vietate.

Non tutti i ragazzi vogliono partecipare al gioco, alcuni provano ad allearsi in piccoli gruppi, ma fidarsi è impossibile, e anche nascondersi a lungo.

Si decimeranno a vicenda in modi più o meno cruenti fino a che ne rimarrà solo uno, almeno in apparenza. Si deve riconoscere al signor Takami che il finale è stato molto sorprendente. Meno sorprendente invece è l’editing e la traduzione di questo volume, che nonostante i 15 euro di spesa contiene refusi e errori grammaticali davvero imbarazzanti.

Una lettura infine piacevole ma non di certo leggera e spensierata, una velata angoscia che accompagna per tutte le 600 pagine e che non ti abbandona neanche dopo.

Francesca Marchesani

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