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Andrea De Carlo, “Gli incontri letterari non devono celebrare l’autore”

L'autore sarà protagonista venerdì al Festival della Comunicazione, in programma a Camogli dal 6 al 9 settembre, dell’incontro "Saturazione da incontri, lo scrittore come ostaggio"

MILANO – Pochi incontri ma più curati, significativi sia per l’autore che per i lettori, perché “Non voglio diventare ostaggio di una macchina promozionale che ti trascina in giro freneticamente, senza dare un senso a quello che fai”. Parola di Andrea De Carlo, il celebre scrittore impegnato da anni in diversi tour letterari ed in sucita con il suo ultimo libro “Una di luna“. L’autore sarà protagonista venerdì al Festival della Comunicazione, in programma a Camogli dal 6 al 9 settembre, dell’incontro “Saturazione da incontri, lo scrittore come ostaggio”. Proprio di questo abbiamo parlato con lui i nquesta intervista.

 

 

Sei protagonista al Festival della comunicazione dell’incontro “Saturazione da incontri, lo scrittore come ostaggio”. Che rapporto hai con i tour letterari che ti vedono protagonista?

Ne ho fatti tanti nel corso degli anni, sia in Italia sia in giro per il mondo. Ho cercato forme diverse rispetto alla classica affiancato da un critico o giornalista. Per anni, ho girato con un musicista per creare una comunicazione un po’ più libera, tornando poi ad incontri più parlati e diretti. Dopo l’ultimo tour, sono arrivato ad un punto di saturazione totale, anche fisica.

 

Come è possibile creare questi incontri letterari più coinvolgenti, soprattutto per un pubblico non abituato alla lettura?

Credo che occorra stabilire un contatto tra chi legge e chi scrive. Bisogna evitare la liturgia classica dell’incontro che serve a celebrare l’autore: ho sempre cercato di evitarlo perché sarebbe un’occasione sprecata. Credo in un incontro più diretto possibile, in cui lo scrittore racconta le ragioni che si celano dietro al suo libro o in generale dietro al suo scrivere in generale. La cosa bella è guardare in faccia i lettori, l’altra parte di questo dialogo a distanza.

 

Quanto ritieni importante incontrare i tuoi lettori?

E’ fondamentale, ma è molto importante che l’incontro con i propri lettori non diventi un evento seriale. Gli incontri sono così tanti che non riesci a dare ad ogni incontro il significato che meriterebbe: occorrerebbe conoscere meglio il luogo, capire chi sono le persone che vengono. Ecco perché d’ora in poi ho deciso di fare pochi incontri ma più curati, pensando che debbano essere significativi sia per me che per loro. Non voglio diventare ostaggio di una macchina promozionale che ti trascina in giro freneticamente, senza dare un senso a quello che fai.

 

Il tuo ultimo libro “Una di luna” è incentrato sul rapporto padre-figlia. Come nasce?

Nasce da riflessioni su questo rapporto tra padre e figlia, il confronto tra questa figura femminile con quella maschile, la prima con cui ha a che fare. Ho voluto analizzare l’influenza che ha nel corso della vita questo rapporto: più è difficile, più è problematico poi risolverlo. Ho voluto creare una figura paterna molto egocentrica e dispotica, con cui confrontarsi è molto complicato.

 

Il rapporto genitori-figli è molto analizzato nella letteratura recente. A tuo parere come è possibile rinsaldare il rapporto genitore-figlio oggi che il divario generazionale sembra essersi allargato?

Non è facile; più che un rapporto di interazione, credo si sia creata una sorta di coesistenza. Quando vedo le famiglie fuori o al ristorante, vedo ognuno isolato con il suo telefonino in mano, chiuso nel suo mondo non comunicante con gli altri. Esiste poi  una rinuncia al proprio ruolo, in cui ai genitori viene più semplice diventare “gli amiconi” dei propri figli, assecondandoli ma anche rinunciando a trasmettere qualcosa a loro. Occorrerebbe trovare il modo di creare dei momenti di contatto vero, facendo anche delle cose insieme, anche soltanto camminare o andare in un museo, o discutere insieme su un libro, invece di guardare la tv o giocare su internet.

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