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Albert Espinosa, ”I giovani hanno davvero tanto da dire, dovremmo ascoltarli di più”

''Braccialetti Rossi'', un libro che ha conquistato davvero tutti. Un successo anche in televisione e, a breve, troveremo anche la versione americana diretta da uno dei più grandi registi del secolo: Steven Spielberg. Albert Espinosa ha racchiuso in poche pagine...

Dieci anni chiuso in ospedale, una lotta contro il cancro che l’ha visto vincitore. Questa è la storia di Albert Espinosa, autore del libro ”Braccialetti Rossi”, tra i finalisti del Premio Bancarella. Abbiamo incontrato l’autore ed ecco cosa ci ha raccontato della sua storia e del suo libro

MILANO – ”Braccialetti Rossi”, un libro che ha conquistato davvero tutti. Un successo anche in televisione e, a breve, troveremo anche la versione americana diretta da uno dei più grandi registi del secolo: Steven Spielberg. Albert Espinosa ha racchiuso in poche pagine, dieci anni della sua vita, dai 14 ai 24, quando in un ospedale spagnolo combatteva contro il cancro. Una malattia che, nel tempo, gli ha fatto perdere una gamba, un polmone, e una parte di fegato. Un libro triste? Tutt’altro. Albert Espinosa è riuscito a raccontare questo delicatissimo tema con ironia e con una pura saggezza guadagnata negli anni, guardando a ritroso, la sua esperienza adolescenziale. Un mondo, colorato di giallo e contrassegnato da un braccialetto, rosso. Noi abbiamo incontrato l’autore che ci ha raccontato di più sul suo libro e sulla sua esperienza al Premio Bancarella.

Braccialetti Rossi, ha conquistato un altro importante successo: il Premio Selezione Bancarella 2014. Che cosa rappresenta per lei questo traguardo?

Una gioia infinita, tutto quello che sta succedendo intorno al libro mi rende felice. L’Italia è diventata la mia casa e questo premio suscita in me un entusiasmo immenso, davvero una felicità totale. È traguardo e strada tutto insieme.

 

Secondo lei, perché il suo libro, che tratta un tema molto delicato e a volta difficile da affrontare, ha conquistato un così grande pubblico? In libreria, in televisione… senza dimenticare ovviamente anche Steven Spielberg, che sta girando la versione americana di Braccialetti Rossi…

Non saprei spiegare bene come mai sia andata così e come mai stia andando in questo modo. Ovunque è stato pubblicato il mio libro è andato benissimo. Il che non smette di sorprendermi perché in fondo è la mia vita da piccolo, è una storia autobiografica. A mio avviso è la tenerezza e il mix di humour e dolore che il libro contiene. Ma è sempre fonte di sorpresa il fatto che un libro funzioni. Cerco sempre di scrivere dei libri per me stesso, che piacciano a me e poi spero che possano interessare gli altri.

Lei ha combattuto contro il cancro per dieci anni. Dai 14 ai 24, infatti, è stato in ospedale. Praticamente un periodo di vita importantissimo per un ragazzo. Cosa ha guadagnato e cosa ha perso in questo periodo di tempo?
Tantissimo. Ho imparato soprattutto che non è triste morire quanto non vivere con intensità. E anche che ogni perdita può diventare un guadagno. Per questo ho sempre pensato che in quei 10 anni non ho perso una gamba, ma ho guadagnato un moncherino, che non ho perso un polmone, ma che ho imparato che con la metà di quello che hai puoi vivere. E siccome il fegato che mi è rimasto ha la forma di una stella ho sempre pensato di portare uno sceriffo dentro di me. Credo sia necessario imparare che ogni perdita è un guadagno.

 

Braccialetti Rossi non è un messaggio di speranza, ma un insegnamento a vivere nel miglior modo possibile un momento difficile come quello che ha vissuto lei. Nel libro, lei dà 23 consigli, perché 23 è il numero perfetto. Qual è però il più importante? Il primo che consiglierebbe ad un ragazzo di 14 anni che scopre di avere il cancro?

Il primo consiglio che gli darei è di avere fiducia nella sua energia. L’energia che scaturisce da noi quando lottiamo è autentica e potentissima. E di non farsi troppe domande. La vita poche volte ha senso e c’è una frase che ci hanno insegnato in ospedale: quando credi di avere tutte le risposte arriva l’universo e ti cambia le domande. Io credo che questa frase racchiuda tutto. Capire che l’universo ti ha cambiato la domanda e che tocca a te trovare una nuova risposta.

 

 Il libro nasce dalla sua esperienza personale con la malattia. Quando è stato il momento esatto in cui ha deciso di scrivere Braccialetti Rossi?

Quando sono stato dichiarato guarito e ho sentito che era necessario cambiare la percezione che si ha del cancro, ossia cambiare l’idea e l’immagine del bambino pelato e triste. Non è così e andava cambiata. La cosa più bella è che ora, grazie al libro e alla serie televisiva, sono aumentate del 40% le visite ai reparti pediatrici e i bambini ripetono una frase che trovo meravigliosa: i miei eroi non hanno un mantello, ma un braccialetto rosso al polso.

 

Lei, in alcune interviste, ha detto che come esistono le cartelle mediche negli ospedali, dovrebbero esistere anche le cartelle di vita, per scriverci i nostri pensieri, i nostri ricordi, i nostri successi. La scrittura secondo lei è terapeutica? Scrivere Braccialetti Rossi a lei è servito?
Mi riferivo all’importanza di avere una propria cartella della vita con le cose che ti rendono felice e ti gratificano. In ospedale circola la tua cartella con tutte le cose brutte che ti succedono. Ed è importante fuori dall’ospedale portare con sé una cartella che contenga tutto l’opposto. Per me Braccialetti Rossi fa parte di tutto ciò e delle storie dei miei amici. È la nostra biografia del tempo in cui non avevamo un motorino ma una sedia a rotelle o non potevamo andare in discoteca ma avevamo sei piani d’ospedale dove fare nuove amicizie.

 

Ora, grazie al Premio Bancarella, sta incontrando spesso i giovani delle scuole per promuovere la lettura. Che pensa dei ragazzi e dei libri? C’è feeling?

Amo i giovani ed è l’aspetto che prediligo di questo premio. È fantastico poterli conoscere e parlare con loro. In loro vive il nostro futuro e dovremmo ascoltarli di più. Hanno davvero tanto da dire.

17 luglio 2014

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