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5 cose che il Decameron di Boccaccio ci insegna ai tempi del Coronavirus

Dal desiderio di evasione al bisogno di affidarsi alle storie, ecco che cosa il "Decameron" di Boccaccio può insegnarci sul presente

Ci sono libri che non invecchiano mai. Uno di questi è, sicuramente, il “Decameron” di Boccaccio, di cui si è tornato molto a parlare in questi giorni. Costretti a casa, in preda all’ozio, siamo un po’ come i giovani della brigata che Boccaccio descrisse nel Decameron. Per evadere dalla cupa atmosfera dell’epidemia, ci affidiamo alle storie. Storie che oggi non hanno più le sembianze di una novella, quanto di una serie tv su Netflix. Insomma, per quanto il mondo cambi, il nostro modo di reagire agli avvenimenti cupi del presente non è poi tanto diverso dal passato. Abbiamo bisogno di storie e lo rivendichiamo con quel medesimo senso di necessità che animava la brigata di Boccaccio nel Decameron. 

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Raccontare la pestilenza ieri come oggi

Testimone della pestilenza che colpì Firenze nel 1348, Boccaccio iniziò a scrivere il Decameron subito dopo la fine dell’epidemia. Nell’opera di Boccaccio, si racconta di una piccola brigata di giovani, sette donne e tre uomini, che, per sfuggire alla peste,  decide di recarsi fuori città. I dieci giovani si riuniscono così in un palazzo del contado, dove vi trascorrono due settimane fra scherzi e novelle da raccontare. Ogni giorno, decidono di eleggere un re o una regina, che ha il compito di decidere l’organizzazione della giornata e l’argomento delle novelle.

Evadere per sentirci liberi

«Assai e uomini e donne abbandonarono la propria città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado»

Ci sono avvenimenti da cui vorremmo scappare. A furia di brutte notizie e tristi bollettini, rischiamo di rimanere intrappolati dentro una cappa opprimente, dove si respira soltanto angoscia e paura. Per sopravvivere all’ansia della morte, ogni uomo attiva dunque i suoi meccanismi di difesa. Uno dei più antichi è proprio quello che mette in scena Boccaccio: l’evasione. Evasione che si traduce nell’immagine idilliaca di una villa in campagna, circondata da un magnifico giardino, dove i dieci giovani si recano in cerca di conforto. Ma, al tentativo di evasione, corrisponde anche un puntuale e doveroso ritorno alla realtà. Per cui alle scene idilliache in campagna si alternano le descrizioni di Firenze in preda alla pestilenza, all’orrore e alla disgregazione morale. 

L’ironia come antidoto alla paura

Andandosene da Firenze, la brigata non vuole tanto evitare i rischi del contagio, quanto dimenticarlo e continuare a ispirare la propria vita ai principi di misura e ragionevolezza. Riuniti nella villa di campagna, i giovani parlano d’amore, sesso e beffe, nel tentativo di allontanare l’imminenza della morte. I giovani ridono delle situazioni scabrose raccontate dalle novelle, ma mantengono sempre un sereno distacco. Un atteggiamento che ci ricorda un po’ tante delle iniziative che hanno avuto luogo in questi giorni. Dai flash mob alle finestre e i concerti in diretta Instagram, ai meme sarcastici sul virus, alle “bimbe di Giuseppe Conte”. Ieri come oggi, l’ironia è utilizzata come antidoto alla paura ed è forse l’arma più potente di cui si avvalgano le giovani generazioni per fronteggiare l’angoscia della morte. 

Affidarci alle storie come alle serie tv

«Vogliamo e comandiamo che niuna novella, altro che lieta, ci rechi di fuori».

Per fuggire il ricordo dell’orribile pestilenza che infuria a Firenze, i dieci giovani della brigata decidono di affidarsi alle novelle, allo stesso modo in cui oggi ci affidiamo alle serie tv. Ad accomunare novelle e serie tv, infatti, non è soltanto il loro carattere narrativo, ma anche il loro modo di essere fruite. Un episodio al giorno, un appuntamento fisso che non ci tradisce mai, che diluisce la narrazione nel corso del tempo, senza abbandonarci. Le novelle, come gli episodi delle serie tv, si trasformano così in amici fedeli, che ci tengono compagnia ogni giorno e ci restituiscono la parvenza di una quotidianità ormai perduta. 

Le frasi più attuali del Decameron

«Non valendo alcun senno né umano provvedimento»

«Purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati, e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo»

«A cura delle quali infermità né consiglio di medico, né virtù di medicina alcuna, pareva che valesse o facesse profitto»

«E tutti quasi, ad un fine tiravano assai crudele: ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose»

«Altri affermavano il bere assai e il godere, e l’andar cantando attorno e sollazzando, e il sodisfare d’ogni cosa allo appetito che si potesse, e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi, esser medicina certissima a tanto male».

«Andavano attorno, portando nelle mani chi fiori, chi erbe odorifere, e chi diverse maniere di spezierie, quella al naso ponendosi spesso»

 

 

 

 

 

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