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Quando mettere la parola FINE

Continua la nostra rubrica "Come diventare scrittore" curata da Giulio Ravizza, che in quest'articolo ci illustra quando mettere la parola "Fine", quando cioè giunge il momento di presentare il libro ad un editore

Sai perché i comodini degli umani sono così pieni di romanzi che rimangono lì sepolti per sempre? Perché scrivere la parola fine è forse il momento più complesso per uno scrittore. Non mi riferisco alla conclusione della trama (lieto fine, finale aperto, finale circolare, finale a sorpresa, et cetera), quanto all’istante in cui ci si dice “basta: il mio romanzo è pronto per essere scelto da un editore”. 

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Dei molti ostacoli che ho incontrato durante la stesura del mio romanzo, questo è certamente quello più inaspettato. Da un lato avevo dato il manoscritto in lettura a troppe persone che mi stavano invadendo di consigli (l’articolo precedente su editor e altri lettori può essere d’aiuto), dall’altro io stesso facevo molte correzioni ad ogni lettura. Ti dirò di più: anche oggi, quando riprendo in mano L’Influenza del Blu, se potessi avere una bacchetta magica cambierei gran parte del testo.

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Come scrivere un inizio, ovvero cyberbullismo su Manzoni

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Il mio consiglio a chi ha il comodino zeppo di idee o di bozze, è di scrivere la parola fine quando si verificano tre condizioni. La prima: quando i pareri che ricevi cominciano a ripetersi, è segno di finirla. La quinta volta che qualcuno ti dice che gli dispiace che un certo personaggio muore puoi fare due cose: decidere di salvarlo o farlo morire ugualmente. Un sesto parere non ti sarà di aiuto e non ti porterà più vicino alla conclusione, neppure se di segno opposto dagli altri cinque. La seconda condizione è l’impressione di aver raggiunto l’obiettivo che ti eri preposto. Se volevi dipingere un affresco della Corte di Versaille del 1700 e finita l’ennesima rilettura quel mondo si palesa davanti a te, allora va bene così. Se ambivi ad emozionare con una storia dal romanticismo struggente e ti commuovi quando rileggi il manoscritto, allora va bene così. Se vuoi mandare un messaggio fra le righe e senti che questo serpeggia bene lungo la trama, allora va bene così. L’ultima condizione è la più complessa: il romanzo deve piacere a te che l’hai scritto. Chi scrive è un po’ come un orologiaio: si inventa un sistema complesso di meccanismi e ingranaggi che battono il tempo del suo cuore e scandiscono i pensieri originali della sua mente. Quando, dopo l’ultima lettura senti il tic-tac delle lancette allora fidati: hai finito. 

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Se queste tre condizioni si verificano allora fermati, fa’ un respiro e comincia la tua prima metamorfosi: uccidi lo scrittore che è in te e da’ vita al mestiere stravagante di trovare un editore (ne parleremo più avanti). 

Vorrei concludere con un pensiero che credo sia fondamentale per gli scrittori emergenti. La scrittura è un po’ come il calcio: si sentono tutti allenatori perché da ragazzi hanno fatto un gol al liceo. Sono tutti pronti a darti preziosi suggerimenti, ma il romanzo è il tuo e alla fine avrà il tuo nome sulla copertina. Deve piacere a te, deve convincere te, deve essere geniale secondo il tuo genio. Per me è stato fondamentale chiedere molti consigli ma è stato ancora più importante arrogarmi il pieno diritto di decidere quali consigli accettare e quali respingere. Il timone lo devi tenere tu con una presa salda, convinta, sensibile e assolutamente indifferente verso i suggerimenti che non ti convincono al mille per cento. Il tuo romanzo deve far rima con la tua anima e non con quella collettiva di un mal precisato gruppo di persone

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In ballo c’è il rischio di mischiare cuori e menti diverse in un’insalata romanzesca che alla fine avrà l’aspetto delle tue idee diluite e stinte della loro bellezza primordiale. Per dirla con le parole del grande Arturo Toscanini:

“Se vuoi piacere ai critici, non suonare troppo forte, troppo piano, troppo veloce, troppo lento.”

FINE.

 

 

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