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Marco Balzano, “La scuola del futuro deve educare, non solo istruire”

Da dove deve ripartire la scuola del futuro? L'opinione di Marco Balzano, scrittore, docente e tra i protagonisti della Scuola per Formatori sviluppata da Feltrinelli Education

La scuola deve stringere un rapporto più stretto con l’educazione, privilegiando lezioni partecipate, esplorative, collettive, in cui lo studente viene messo al centro. Deve ripartire da qui la scuola del futuro secondo Marco Balzano. L’autore Premio Campiello 2015 e insegnante di Lettere al liceo è tra i protagonisti della Scuola per Formatori sviluppata da Feltrinelli Education, l’innovativa piattaforma di lifelong learning del Gruppo Feltrinelli, con la preziosa collaborazione di Future Education Modena. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare da lui come dovrà essere la scuola del futuro.

La scuola del futuro secondo Marco Balzano

Quali sono le principali difficoltà che l’insegnamento ha dovuto affrontare in questi 12 mesi?

L’insegnamento è stato snaturato perché la scuola è comunità, relazione, presenza, dialogo dal vivo. Tutto questo si è perso da un giorno all’altro. Ciascuno ha dovuto far fronte all’emergenza con i propri dispositivi e le proprie conoscenze. La vera questione politica, degna di riflessione, è che durante l’estate non si è provveduto a procurarci strumenti migliori e nemmeno a formare gli insegnanti per questo nuovo modo di fare scuola. Finché la formazione permanente non diventerà una pratica condivisa per alunni e docenti, dunque per i cittadini in genere, saremo sempre affannati a rincorrere gli eventi.

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Non si rischia con il digitale e le nuove tecnologie di perdere la dimensione relazionare e il contatto umano tradizionale?

Sì. Come dicevo la didattica a distanza è già di per sé una perdita della relazione nella sua forma più reale. Dobbiamo da una parte cercare di avere coraggio e metterci alla prova in contesti nuovi e dall’altro farlo con consapevolezza e con la giusta preparazione. In questi ultime settimane sembra che si aspetti solamente la fine di tutto e dunque si parla ancora meno di investimenti necessari. Non è affatto detto, invece, che l’emergenza sia contingentata: abbiamo bisogno di imparare nuovi modi di fare scuola, sia per far fronte agli eventi, sia per stare meglio nel presente.

In cosa consiste il corso che terrai nell’ambito del progetto Scuola per Formatori?

Vorrei sottolineare quanto le scuole debbano diventare spazi più aperti ed ospitali. Sono generalmente ancora troppo chiusi, i portatori di esperienze e conoscenze diversi dagli insegnanti ci entrano ancora troppo poco. Il mondo della società civile, dell’arte, della letteratura, della scienza non dovrebbe essere un ospite eccezionale nella scuola, ma avere con questa una frequenza e un dialogo continui. La scuola a volte si autolimita nello stringere contatti con nuovi saperi e col mondo esterno. Fortunatamente le cose negli ultimi anni stanno migliorando, anche se non in modo sistematico.

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Questa è l’unica strada da seguire se vogliamo uscire da una preparazione che non sia solo tradizionale e libresca. Occorre poi rimettere al centro tutta una tradizione pedagogica, italiana e non solo, che nel dibattito sulla scuola è quasi sempre messa in secondo piano. La pedagogia viene sacrificata sia nella formazione degli insegnanti, sia nella didattica quotidiana. Chi si occupa di governare la scuola dovrebbe invitare al tavolo i pedagogisti e, soprattutto, i ragazzi.

Ci puoi fare alcuni esempi di percorsi di apprendimento innovativi che i docenti di oggi possono attuare per un insegnamento più efficace?

La cosa più importante è uscire da un’idea di scuola che sia soltanto istruzione, trasferimento di nozione. La scuola deve stringere un rapporto più stretto con l’educazione. Educazione significa portare da uno stato inferiore a uno superiore, da uno ignoto a uno noto. Tutto questo è raggiungibile non rendendo univoche modalità come la lezione frontale, privilegiando lezioni partecipate, esplorative, collettive, in cui lo studente viene messo al centro.

Marco Balzano

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Ma tutte queste sono cose – proprio come quella tradizione pedagogica a cui accennavamo – note e arcinote, bisogna solo applicarle davvero. Occorre inoltre portare di più gli alunni al di fuori della scuola, dove esiste un mondo  che dimostra che le conoscenze acquisibili non sono un sapere astratto ma migliorano lo sguardo sul mondo, il senso critico, la conoscenza dell’altro.

 

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