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“Amabili resti”, dal libro di Alice Sebold al film di Peter Jackson

Ricordo Amabili resti (2009) di Peter Jackson come uno dei film più tristi e svuotanti che abbia mai visto. E questo non perché non sia bello, anzi. È uno di quei film che ti lascia l’amaro in bocca e un’infinita tristezza dentro, tanto è l’immedesimazione e il coinvolgimento con la tragedia della famiglia Salmon, la cui giovane figlia Susie è brutalmente uccisa dal vicino di casa, George Harvey, e il cui omicidio rischia di rimanere impunito. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold del 2002, che ha avuto un notevole successo di pubblico. Ancor prima che l’autrice terminasse la stesura definitiva del libro, la casa di produzione cinematografica inglese Film4 si era mossa per acquistarne i diritti d’autore, sicura del successo del romanzo. Poi, per una serie di rinvii legati alla produzione, il film uscirà solo nel 2009.

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Tra le cause di questo ritardo vi è stato anche il problema della scena finale, quella in cui l’assassino muore in un dirupo, che è stata completamente riscritta e rifatta: il pubblico che aveva visto in anteprima il film prima dell’uscita si era dichiarato insoddisfatto della morte dell’assassino che, secondo loro, avrebbe dovuto soffrire maggiormente e perire di una morte più tragica. In effetti, grazie all’interpretazione da candidatura all’Oscar, l’attore Stanley Tucci dà vita a un personaggio così malvagio, impassibile e privo di sentimenti che il finale del film (diversamente dal romanzo, in cui il killer resta impunito) è un sollievo per lo spettatore.

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Guardando il film si partecipa con ansia e suspense alle ricerche della famiglia Salmon per trovare e incastrare l’assassino della figlia quattordicenne, Susie. La ragazzina (interpretata da Saoirse Ronan) si trova in una sorta di limbo, in attesa di accedere al Paradiso, dal quale può osservare e seguire le vicende dei suoi cari, distrutti dal dolore della sua scomparsa. Dopo la tragedia, la sua famiglia si è ormai disgregata: la madre Abigail (Rachel Weisz nel film) se ne va di casa per superare in solitaria il suo dolore, mentre Jack (Mark Wahlberg), il padre, rimane insieme ai figli Lindsey (Rose McIver) e Buckley (Christian Thomas Ashdale). La nonna, Lynn (interpretata da Susan Sarandon), eccentrica alcolizzata, decide di trasferirsi da loro per aiutare Jack e i nipoti. Jack è ossessionato dalla morte di Susie, ritenendosi in parte colpevole dell’accaduto per non aver saputo proteggere la figlia. Dopo una fortuita serie di coincidenze, intuisce che il vicino di casa, George Harvey (Stanley Tucci) è il responsabile dell’omicidio ed è determinato a incastrarlo. Nel frattempo, anche Lindsey indaga sul vicino e riesce a introdursi in casa sua e a rubare un taccuino con prove evidenti del suo coinvolgimento. La stessa Susie, dall’alto del limbo, scopre attraverso una visione che l’uomo è responsabile anche di numerose altre morti. Si tratta quindi di un serial killer.
Consapevole del fatto di essere stato scoperto e della sottrazione del suo taccuino in cui sono annotati i nomi delle vittime e i progetti per ucciderle, Harvey si sbarazza del corpo di Susie – in un posto dove non potrà mai essere trovato – e si dà alla fuga.

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Lo spettatore, insieme a Susie, segue con grande apprensione le mosse dell’assassino, che pare farla franca. Ma, il destino riserva una sorpresa: non sarà la polizia a trovare Harvey, bensì la morte, che lo sorprende in modo assurdo quanto efficace, con grande sollievo per il pubblico. Anche se l’angoscia provocata dalla consapevolezza che il corpo di Susie non verrà mai trovato rimane anche dopo i titoli di coda e non solo. L’unica, magra, consolazione è che la ragazzina riuscirà ad abbandonare il limbo per entrare nel Paradiso grazie all’abbandono da parte sua dei cosiddetti “amabili resti”, ovvero quello che la legava alla vita terrena, cioè i suoi cari.

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