In questi dialoghi tratti dall’opera teatrale La Chunga di Mario Vargas Llosa si concentra, con straordinaria delicatezza e intensità, il senso profondo della fragilità e della ricerca di felicità che percorre le esistenze umane. L’autore peruviano, noto per la sua capacità di fondere narrazione e riflessione morale, costruisce qui una scena di intimità sospesa e sincera, dove il confine tra illusione e verità si fa labile, e la parola poetica diventa strumento di consolazione e di rivelazione.
MECHE (indicando il letto) Un momento fa, quando mi accarezzavi, mi dicevi cose molto tenere. Che io ti facevo vedere il paradiso, che eri felice. Mi mentivi?
CHUNGA No. Era vero.
MECHE Allora la vita non è tanto brutta, in fondo. Ha le sue cose buone. (Ride) Mi rallegro di essere una delle cose buone che ti può dare la vita, Chunga.
Mario Vargas Llosa e la bellezza nonostante le brutture quotidiane
La scena vede protagoniste Meche e Chunga, due figure femminili all’interno di un contesto marginale, quello di una bettola di provincia, teatro dell’intera vicenda. Meche è una giovane donna fragile, una presenza che oscilla tra l’inconsapevolezza e il desiderio di essere amata, mentre Chunga, padrona del locale e donna dall’animo più disilluso, incarna una forma di esperienza che tuttavia conserva ancora zone d’ombra, aperture di tenerezza e di bisogno affettivo.
Il dialogo si apre con la domanda di Meche: “Un momento fa, quando mi accarezzavi, mi dicevi cose molto tenere. Che io ti facevo vedere il paradiso, che eri felice. Mi mentivi?” In questa semplice interrogazione si concentra una delle domande fondamentali che ogni essere umano si pone nel corso della vita: quanto delle parole affettuose che riceviamo corrisponde a verità? Quanto del bene che ci viene promesso o dichiarato è autentico? La domanda di Meche non è solo una verifica sentimentale, ma una ricerca di senso, un tentativo di aggrapparsi a una certezza in un mondo che offre ben pochi appigli.
La risposta di Chunga, “No. Era vero.”, è essenziale e diretta, ed è proprio in questa sobrietà che si avverte tutta la sua forza. Non servono spiegazioni, giustificazioni o retorica. In quel momento, quelle parole dette a Meche erano vere, sincere, nate da un istante di felicità reale, per quanto effimera. Vargas Llosa sembra suggerire che nella vita, e nell’amore, esistono momenti di verità assoluta, anche se destinati a svanire. La verità non è necessariamente duratura per essere tale: basta che sia autentica nell’istante in cui si manifesta.
A questo punto Meche, con una dolce leggerezza, osserva: “Allora la vita non è tanto brutta, in fondo. Ha le sue cose buone.” È una frase di una semplicità disarmante e proprio per questo profondamente umana. Meche, personaggio segnato da una vita difficile e marginale, riesce a riconoscere il valore di quei brevi attimi di felicità. E ride, quasi a esorcizzare il dolore che la circonda e ad affermare una forma di speranza. In questo sorriso c’è la capacità dell’essere umano di trovare senso e gioia anche negli angoli più oscuri dell’esistenza.
Il dialogo si chiude con una dichiarazione tenera e orgogliosa: “Mi rallegro di essere una delle cose buone che ti può dare la vita, Chunga.” Qui Vargas Llosa mette in scena la dignità profonda di chi, pur avendo poco da offrire in termini materiali o sociali, riesce a rappresentare per qualcun altro un dono, una piccola felicità, una parentesi luminosa in una quotidianità difficile. Meche riconosce il proprio valore, non come oggetto, ma come soggetto capace di generare amore, consolazione, senso.
Attraverso questo scambio teatrale, l’autore ci offre una riflessione sul significato delle relazioni umane, sulla verità emotiva e sulla capacità di riconoscere valore anche in ciò che è effimero e imperfetto. La Chunga, ambientata in una realtà di bordello e miseria, dimostra che perfino nei luoghi più degradati e tra le vite più segnate si possono accendere scintille di poesia, piccoli frammenti di paradiso.
Mario Vargas Llosa: un intellettuale che ha il coraggio di schierarsi
Vargas Llosa, con il suo stile sobrio e profondamente umano, ci ricorda che il valore di un’esistenza non si misura soltanto attraverso i successi o le grandi imprese, ma anche e soprattutto attraverso la capacità di offrire e ricevere momenti di verità affettiva. Quei brevi istanti in cui, accarezzando qualcuno o pronunciando una parola sincera, ci si può sentire felici, capaci di vedere il paradiso in terra.
In questo senso La Chunga si fa metafora della condizione umana universale: un susseguirsi di illusioni, dolori e felicità improvvise, di menzogne e di verità fulminee che, seppure brevi, sono sufficienti a riscattare la durezza del vivere. Il teatro di Vargas Llosa è fatto di questi contrasti, di queste fugaci epifanie che rivelano quanto la vita, pur nella sua amarezza, non sia mai del tutto priva di bellezza.