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Una frase Alda Merini sul valore dell’essere folli

Anche la follia merita i suoi applausi. Con questo suo celebre aforisma, Alda Merini ci insegna l'importanza di osservare il mondo da un'altra prospettiva, che non è per forza quella sbagliata. 

Guardare il mondo con occhi diversi, con lo sguardo di chi è ritenuto “fuori dal coro”, spesso si rivela indispensabile per vivere appieno la vita. E’ quello che ci ha insegnato con le sue poesie, e con le sue frasi, Alda Merini. In particolare, con una sua celebre frase la poetessa dei Navigli tende a sottolineare come i folli guardano il mondo da un’altra prospettiva, che non è per forza quella sbagliata.

“Anche la follia merita i suoi applausi”

L’elogio alla follia

Spesso si tende a etichettare chi è diverso da noi come sbagliato, qualcuno da isolare, che non potrà mai rientrare nei canoni imposti dalla società e che quindi va emarginato. In un mondo in cui se non rispetti le regole imposte da chi detiene il potere sei ritenuto sbagliato, essere ritenuto folle risulta essere una barriera non superabile.

La vita di artisti, scrittori e poeti ci insegna, invece, che un tocco di follia non guasta mai se si vuole vivere la vita appieno e apprezzarne le diverse sfumature. Un’esistenza stereotipata non potrà mai essere un’esistenza felice e soddisfacente. E’ quello che artisti come Alda Merini ci hanno insegnato, vivendo sempre in bilico tra follia e normalità.

E’ stata una vita piena di difficoltà quella della poetessa dei Navigli, raccontata nei suoi versi in cui, oltre all’amore, con la sensibilità che l’ha sempre contraddistinta ha anche raccontato la terribile esperienza del manicomio, che per lei è stato “il grande poema di amore e di morte”, e il dolore provato a causa delle persone che le sono state vicino.

Ma, come amava lei stessa dire “Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno. Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”. Ciò, insieme all’aforisma sopra citato, ci dice come la Merini volesse far capire agli altri che non bisogna demonizzare coloro che la pensano diversamente dalla massa, gli stravaganti e i folli: essi vanno capiti e celebrati, perché è grazie al loro punto di vista, al loro sguardo diverso da tutti che si riesce ad avere un quadro più completo di ciò che è il mondo che ci ospita.

E, quindi, elogiamo la follia: anch’essa merita gli applausi.

La follia e il delirio amoroso di Alda Merini

Amore, follia, sacrificio e poesia: per Alda Merini c’è una relazione quasi necessaria tra quel “grande, inconfessabile languore amoroso” che è la follia, e la scrittura, vissuta come esperienza fisica prima ancora che come vocazione letteraria.

“La poesia – scrive nel libro “Delirio amoroso” – non è solo una missione; è anche e soprattutto un lavoro manuale” che attinge “alle forze della natura”. In questo processo è il corpo il vero protagonista. Un corpo che ha rinunciato, con voluttà e stupore, alla guida rassicurante della ragione per smarrirsi nei labirinti tetri ma affascinanti della pazzia. Per perdersi e scoprire altre, più profonde verità. E soprattutto per poter amare.

Questo libro, scabroso e drammatico, “scritto selvaggiamente”, documenta gli anni più bui e insieme luminosi della poetessa milanese, gli anni dell’amore maledetto per un uomo “austero, silenzioso e temibile”, gli anni dei manicomi e dei centri di riabilitazione mentale, in cui invano i medici hanno cercato di far tacere la poesia. Invece, pare suggerirci Alda Merini, contro tutti i princìpi razionali e le manie di benessere psicofisico, è “sano”, a volte, accettare il proprio disagio interiore, lasciare che spiragli di sregolatezza si insinuino nella nostra vita, dando voce a emozioni e sentimenti che diversamente rimarrebbero muti per sempre.

Un libro sapiente e visionario, in cui la struggente prosa lirica della poetessa riesce ad amplificare e sublimare la disperazione, rendendoci preziosi testimoni, quasi complici, del suo delirio amoroso e fremente, della sua storia poetica e umana più autentica e segreta.

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