Una frase di Fabrizio De André contro le banali etichette

16 Febbraio 2025

Leggiamo assieme questa dichiarazione di Fabrizio De André contro ogni banale etichetta o omologazione imposta dal mercato o dalla società.

Una frase di Fabrizio De André contro le banali etichette

Fabrizio De André è stato molto più di un semplice cantautore. Nella sua arte, nella sua ricerca musicale e letteraria, si può riconoscere una figura che richiama da vicino quella dei trovatori medievali, poeti e musicisti itineranti che cantavano l’amore, la guerra, l’onore e la condizione umana. La sua affermazione rivela molto del suo approccio alla musica e alla parola.

“Cantautore? Lo sono, sì. Ma è un termine vago, che non definisce nulla. Se proprio fa comodo un’etichetta, preferirei si dicesse trovatore”

Il significato di “trovatore” e il legame dei trovatori con Fabrizio De André

Il termine “trovatore” deriva dall’occitano “trobador” e indicava quei poeti e musicisti che, nel Medioevo, componevano liriche per essere accompagnate da una melodia. La loro arte non era solo intrattenimento, ma anche una forma di riflessione sulla società, sulle relazioni umane e sui valori etici. Il loro pubblico variava dai signori feudali ai popolani, e la loro poesia affrontava tematiche sia elevate che popolari. De André, come i trovatori, non si limitava a scrivere canzoni: costruiva universi poetici capaci di raccontare storie di umanità, sofferenza e amore.

L’interesse di De André per la cultura medievale e per i trovatori non è casuale. Fin dagli esordi della sua carriera, ha mostrato una spiccata attenzione per le tradizioni popolari e per la poesia colta. Il suo album Creuza de mà (1984) è un esempio lampante della sua volontà di riscoprire le radici linguistiche e musicali del Mediterraneo, proprio come i trovatori che si muovevano attraverso le corti europee diffondendo la loro arte. Anche in brani come Via del Campo o Bocca di Rosa, il suo modo di raccontare richiama le ballate medievali, capaci di unire una narrazione efficace a una profonda riflessione morale.

Un altro tratto che avvicina De André ai trovatori è la funzione sociale della sua musica. I trovatori medievali non si limitavano a celebrare l’amore cortese, ma spesso usavano i loro versi per denunciare ingiustizie e ipocrisie. De André ha fatto lo stesso: le sue canzoni sono spesso racconti di emarginati, ribelli e vittime di un sistema crudele. In La guerra di Piero, denuncia l’assurdità della guerra con la semplicità di una ballata; in Il testamento di Tito, rilegge i dieci comandamenti attraverso la voce di un condannato a morte, offrendo una visione critica della morale tradizionale.

L’affermazione di De André sulla definizione di “cantautore” riflette il suo rifiuto delle categorie rigide. Il termine “cantautore”, infatti, può risultare riduttivo per un artista come lui, che ha sempre cercato di superare i confini tra poesia e musica, tra tradizione e innovazione. Definirsi “trovatore” non è solo un omaggio a un passato glorioso della letteratura e della musica, ma anche una dichiarazione di intenti: il trovatore non è un semplice esecutore di canzoni, ma un interprete del mondo, un narratore di storie universali che toccano l’animo umano.

De André e la dimensione universale della sua arte

Come i trovatori, De André ha saputo attingere a molteplici fonti culturali per creare un linguaggio musicale unico. Dalla tradizione cantautorale francese di Georges Brassens all’influenza della poesia di Villon, dalla musica popolare italiana fino alle sonorità mediterranee e sudamericane, il suo percorso artistico è stato un viaggio attraverso le culture e le epoche. Il trovatore moderno non è colui che si limita a scrivere canzoni, ma chi sa trasformarle in un mezzo di esplorazione e comprensione del mondo.

Definirsi “trovatore” anziché “cantautore” non è solo una questione terminologica: è una scelta poetica, una visione della musica come strumento di racconto e di denuncia, di sogno e di memoria. Fabrizio De André è stato uno degli ultimi trovatori della nostra epoca, un poeta in musica capace di dare voce agli ultimi e di rendere immortali le storie che ha cantato. Il suo lascito artistico continua a vivere, testimoniando il potere della parola e della musica nel raccontare la bellezza e la complessità della condizione umana.

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